Marx

 

1. VITA E OPERE
Marx nasce a Treviri nel 1818 da una famiglia ebrea. Per mezzo del padre, avvocato brillante e colto, Marx riceve un’educazione di stampo razionalistico e liberale. Nel 1835-36 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza a Bonn e, successivamente, a Berlino. Entrato in contatto con il club dei “giovani hegeliani”, studia a fondo la filosofia di Hegel. Passato da giurisprudenza a filosofia, si laurea all’Università di Jena. Abbandonati i progetti di carriera universitaria, si dedica al giornalismo politico. Diventa caporedattore della Gazzetta renana, è costretto a trasferirsi a Parigi in seguito all’interdizione del giornale da parte del governo prussiano. Nel 1843 termina la stesura della Critica della filosofia del diritto di Hegel,  in cui comincia a misurarsi polemicamente con i problemi della filosofia politica moderna. Nel 1844 esce a Parigi il primo e unico numero degli Annali franco-tedeschi, sui quali appaiono due importanti saggi, che testimoniano l’esplicito passaggio di Marx al comunismo: La questione ebraica e Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione. A Parigi stringe amicizia con Engels, un’amicizia che durerà tutta la vita e che gli sarà di conforto intellettuale, morale e materiale. Espulso dalla Francia, su insistenza del governo prussiano, si trasferisce a Bruxelles, dove in collaborazione con Engels scrive Sacra famiglia. Intanto matura il distacco polemico dall’intera filosofia tedesca, che si concretizza nelle Tesi su Feuerbach e, soprattutto, in L’ideologia tedesca, scritta con Engels e rimasta inedita. Nel 1847 si tiene a Londra il primo congresso della “Lega dei Comunisti” e Marx, che non può parteciparvi, viene rappresentato da Engels. In questo periodo pubblica la Miseria della filosofia, che rappresenta il polemico e totale distacco da Proudhon. Sempre nel 1847, Marx viene incaricato dalla lega di elaborare un documento in collaborazione con Engels, con il titolo di Manifesto del partito comunista. Nel 1849 la vittoria controrivoluzionaria tedesca provoca l’espulsione di Marx dalla Germania. Rifugiatosi a Parigi, in seguito a difficoltà sorte con il governo francese, emigra a Londra. Nel 1851 Marx si ritira dalla politica attiva e inizia a lavorare al British Museum. Nel 1964 viene fondata l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, nella quale Marx è figura dominante. Nel 1866 iniziò il primo libro del Capitale (il secondo e il terzo volume, grazie al lavoro di Engels, che ne “decifrerà” i manoscritti, appariranno postumi nel 1885 e nel 1894). Marx muore nel 1883, compianto da Engels e dal movimento operaio internazionale.
 

2. CARATTERISTICHE DEL MARXISMO
• Il primo carattere del pensiero di Marx è la sua irriducibilità alla dimensione filosofica, sociologica o economica e il suo porsi come analisi globale della società. Di conseguenza il pensiero di Marx appare pervaso da un’energia totalistica in quanto investe tutti i settori della conoscenza.
• Il secondo carattere del marxismo è il suo legame con la prassi, in quanto Marx non si limita ad esporre teorie ma si impegna anche nel concretizzarle. Questo è un punto chiave del marxismo, che sta alla base della scelta rivoluzionaria che lo contraddistingue: l’ideale di tradurre in atto quell’incontro tra realtà e razionalità che Hegel aveva solo pensato e che Marx si propone invece di attuare con la prassi, mediante l’edificazione di una nuova società.
Le influenze culturali che stanno alla base del marxismo sono essenzialmente tre:
1. la filosofia classica tedesca da Hegel a Feuerbach
2. l’economia politica borghese da Smith a Ricardo
3. il socialismo utopistico da Saint-Simon a Owen.
 

3. LA CRITICA AL «MISTICISMO LOGICO» DI HEGEL
Il primo testo in cui Marx si misura con Hegel è la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. In esso Marx critica il metodo di Hegel, cioè il suo modo stesso di filosofare. Secondo Marx lo «stratagemma» di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello spirito. Marx definisce tale procedimento MISTICISMO LOGICO poiché in virtù di esso le realtà empiriche finiscono per essere allegorie o personificazioni di una realtà spirituale (= idea) che vive occultamente dietro di esse e che ne funge da significato e giustificazione. Sulla scia di Feuerbach, Marx arriva alla conclusione che il misticismo logico sia il risultato del capovolgimento idealistico fra soggetto e predicato, concreto e astratto. Dunque l’idealismo fa del concreto la manifestazione dell’astratto, e di ciò che viene prima la manifestazione di ciò che viene dopo.
Nella Sacra famiglia Marx fornisce un esempio di misticismo logico: egli afferma che mentre l’uomo comune e il filosofo realista pensano che esistono prima le mele e le pere reali poi il concetto di frutto, per il filosofo idealista viene prima la nozione di frutto poi, come sua manifestazione necessaria, le mele e le pere reali. Così facendo l’idealista stravolge l’ordine delle cose.
Oltre ad essere fallace sul piano filosofico, il metodo “mistico” di Hegel è anche conservatore sul piano politico, poiché porta a “canonizzare” o a “santificare” la realtà esistente, in particolare le istituzioni politiche e socio-economiche esistenti viste come manifestazioni razionali e necessarie dello Spirito. In quanto tali esse vanno mantenute (giustificazionismo). Al metodo “mistico” di Hegel, Marx oppone il metodo trasformativo, che consiste nel ricapovolgere ciò che l’idealismo ha capovolto, ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e veramente predicato.
Marx riconosce ad Hegel il merito della visione dialettica della realtà, ossia una concezione della realtà come totalità di elementi concatenati fra loro e mossa dalle opposizioni. Però Hegel dà importanza alle opposizioni culturali o spirituali, fra le quali è possibile la sintesi, trascurando opposizioni concrete (= opposizioni socio-economiche) tra le quali invece non è possibile la sintesi: esiste solo la lotta o l’esclusione.
 

4. LA CRITICA DELLA CIVILTÀ MODERNA E DEL LIBERALISMO
Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo vi è una critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale. Il punto di partenza del discorso di Marx è la separazione, mutuata da Hegel, tra società civile e Stato. Mentre nella polis greca l’individuo era un tutt’uno con la comunità di cui faceva parte e non distingueva l’interesse privato dall’interesse comune, nel mondo moderno l’uomo è costretto a vivere due vite: una «in terra» da «borghese», cioè nell’ambito degli interessi particolari della società civile; l’altra «in cielo» come «cittadino», ovvero come membro dello Stato che persegue il bene comune. Ma il «cielo» dello Stato è, secondo Marx, illusorio, poiché la sua pretesa di porsi come organo che persegue l’interesse comune è verificabilmente falsa. Infatti succede che, anziché essere lo Stato a “indirizzare” la società civile al bene comune, è la società civile che “abbassa” lo Stato a semplice strumento degli interessi particolari delle classi dominanti. La stessa proclamazione dell’uguaglianza “formale” dei cittadini di fronte alla legge, che è la grande conquista della società moderna, non fa che ratificare la diseguaglianza reale. In altre parole, la civiltà moderna rappresenta al tempo stesso la società delle particolarità reali e dell’universalità illusoria.
L’espressione politica della civiltà moderna è lo Stato liberale e quelle che sono considerate le sue maggiori conquiste (democrazia rappresentativa, libertà individuale, proprietà privata) non fanno altro che esprimere la scissione tra società civile e Stato. Alla democrazia liberale, che è formale in quanto le libertà politiche sono rese indisponibili dalle diseguaglianze sociali, Marx oppone una democrazia sostanziale o totale in cui le libertà politiche sono godute grazie all’eliminazione delle diseguaglianze sociali e in particolare del principio stesso di ogni diseguaglianza: la proprietà privata. Nella Critica alla filosofia del diritto di Hegel del 1843 lo strumento cui ricorre Marx è il suffragio universale. Negli Annali franco-tedeschi e nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, l’arma a cui fa appello Marx è la rivoluzione sociale del proletariato.
 

5. LA CRITICA DELL’ECONOMIA BORGHESE E LA PROBLEMATICA DELL’ALIENAZIONE
I Manoscritti economico-filosofici segnano il primo approccio di Marx all’economia politica. Marx scorge due problemi nelle teorie degli economisti classici:
1. essi danno un’immagine mistificata del mondo borghese. Ciò è dovuto, secondo Marx, al fatto ch essi non pensano in modo dialettico; infatti anziché collocarsi in una prospettiva storico-processuale, essi “eternizzano” il sistema capitalistico, considerandolo non come un sistema economico fra tanti della storia, ma come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e di distribuire la ricchezza. La stessa proprietà privata appare come un “fatto”, cioè come un dato da usare come postulato di ogni ricerca di economia “scientifica”.
2. essi non scorgono la contraddizione della società capitalistica borghese, che si incarna nell’opposizione tra borghesia e proletariato. Tale conflitto si palesa nell’alienazione dell’operaio nella società capitalistica.
Il concetto di alienazione affonda le sue radici nella filosofia tedesca precedente. Per Hegel l’alienazione è il movimento stesso dello Spirito, che si fa altro da sé, nella natura e nell’oggetto, per potersi riappropriare di sé in modo arricchito. Come tale l’alienazione riveste, in Hegel, un significato negativo e positivo al tempo stesso. In Feuerbach l’alienazione è qualcosa di puramente negativo, poiché si identifica con la situazione dell’uomo religioso, che, “scindendosi”, si sottomette a una potenza estranea (Dio) che lui stesso ha posto. Marx si rifà soprattutto a Feuerbach, ma, mentre per quest’ultimo l’alienazione è un fatto coscienziale, derivante da un’errata interpretazione di sé, in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socio-economica, in quanto si identifica con la condizione dell’operaio nell’ambito della società capitalistica. L’alienazione dell’operaio viene descritta da Marx sotto quattro aspetti fondamentali:
1. l’ operaio è alienato rispetto al prodotto del suo lavoro, in quanto egli, in virtù della sua forza-lavoro, produce un oggetto (il capitale) che non gli appartiene e che si costituisce come una potenza dominatrice nei suoi confronti;
2. l’operaio è alienato rispetto al suo stesso lavoro, il quale prende la forma di una “lavoro forzato”, in cui egli è strumento di fini estranei (il profitto del capitalista), con la grave conseguenza che l’uomo si sente «bestia» quando dovrebbe sentirsi «uomo», cioè nel lavoro sociale, e si sente uomo quando fa la bestia, cioè nel mangiare, bere, procreare;
3. l’operaio è alienato rispetto alla sua essenza, perché ciò che umanizza l’uomo è il lavoro libero, creativo e universale, mentre nella società capitalistica egli è costretto a un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale;
4. l’operaio è alienato rispetto al prossimo, perché “l’altro” per li è soprattutto il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica, facendo sì che il suo rapporto con lui, e con l’umanità in genere, sia per forza conflittuale.
La causa dell’alienazione risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione, grazie alla quale il capitalista può espropriare l’operaio del suo lavoro e della sua umanità. La dis-alienazione dell’uomo si identifica dunque con il superamento del regime della proprietà privata e con l’avvento del comunismo. Di conseguenza per Marx la storia si configura come il luogo della perdita e della riconquista, da parte dell’uomo, della propria essenza.
 

6. IL DISTACCO DA FEUERBACH
Nell’opera Tesi su Feuerbach Marx riconosce al filosofo il merito di aver attuato una rivoluzione teoretica che consiste nella rivendicazione della naturalità e della concretezza dell’uomo e nel rifiuto dell’idealismo, che ha ridotto l’uomo ad autocoscienza e a manifestazione dello Spirito. Di conseguenza Feuerbach ha anche un secondo merito, cioè quello di aver teorizzato il rovesciamento materialistico dei rapporti di predicazione.
Feuerbach però ha alcuni limiti. Egli, come tutta l’antropologia filosofica precedente, non ha compreso che l’uomo, più che natura, è società e storia; cioè non ha capito che «l’essenza umana è l’insieme dei rapporti sociali storicamente determinati». Marx sostiene infatti che l’individuo è reso tale dalla società storica in cui egli vive, per cui non esiste l’uomo i  astratto, ma l’uomo figlio e prodotto di una determinata società e di uno specifico mondo storico. Per questo ogni discorso sull’uomo non può prescindere dal discorso sulla società e sulla storia e si ha così il passaggio dalla problematica antropologica all’indagine storica e socio-economica, secondo un processo che Althusser, seguace di Marx, ha descritto come transizione dalla filosofia alla scienza.
Un secondo punto che unisce e divide Marx da Feuerbach è l’interpretazione della religione. Pur avendo scoperto il meccanismo dell’alienazione religiosa, Feuerbach secondo Marx non è stato in grado di capire le cause reali del fenomeno. Feuerbach aveva cercato le radici del fenomeno nell’uomo in quanto tale. Marx invece afferma che le cause reali sono le ingiustizie sociali: la religione è il sospiro della creatura oppressa della misera che cerca nell’aldilà ciò che le è negato nell’aldiquà. La religione è definita da Marx «oppio dei popoli» in quanto è una sorta di consolazione illusoria delle masse.
Ma se la religione è il sintomo di una condizione umana e sociale alienata, l’unico modo per eliminarla non è la critica filosofica come aveva pensato Feuerbach, ma la trasformazione rivoluzionaria delle società. In altre parole, secondo Marx, l’unico modo per eliminare la religione è quello di distruggere le strutture sociali che la producono.
Un altro limite di fondo del pensiero di Feuerbach risiede nel teoreticismo: egli infatti ha ignorato l’aspetto attivo e pratico della natura umana e ha cercato la soluzione dei problemi reali nella teoria, trascurando completamene l’aspetto della praxis rivoluzionaria.
 

7. LA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA
La critica a Feuerbach segna il passaggio di Marx dall’umanesimo (che considera l’uomo in astratto) al materialismo storico (che considera l’uomo come il frutto dei rapporti sociali storicamente determinati). Quindi segna il passaggio dall’antropologia speculativa al sapere reale della storia. Il testo in cui si concretizza tale processo è L’ideologia tedesca, scritto da Marx ed Engels durante l’esilio di Bruxelles. Obiettivo di Marx è quello di svelare la verità sulla storia che è stata mistificata da false dottrine, le ideologie. Per capire cosa è realmente la storia bisogna dunque eliminare le ideologie e inaugurare una nuova scienza.
Ma che cos’è l’umanità, intesa in modo scientifico e non in modo ideologico? Marx afferma che l’umanità è una specie animale evoluta composta da individui associati che lottano per la sopravvivenza. Ma fin qui gli uomini non si distinguono dagli animali. Essi cominciano di fatto a distinguersi allorché, in virtù della necessità, cominciano a produrre i loro mezzi di sussistenza. Alla base della storia vi è dunque il lavoro, che umanizza l’uomo.
Guardando la storia come produzione sociale dell’esistenza (cioè come produzione dei mezzi di sussistenza) Marx ne distingue due elementi di fondo: le forze produttive e i rapporti di produzione.
Per forze produttive Marx intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione, ossia, fondamentalmente:
- gli uomini che producono (forza-lavoro)
- i mezzi che utilizzano per produrre (mezzi di produzione)
- le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono per organizzare e migliorare la produzione.
Per rapporti di produzione Marx intende i rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro. I rapporti di produzione trovano la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà.
Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono il «modo di produzione» di un certo periodo, cioè costituiscono il sistema socio-economico. Il modo di produzione costituisce la struttura, ovvero lo scheletro economico della società. Tutti gli altri aspetti della società (i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche) costituiscono la sovrastruttura, intesa come espressione più o meno diretta dei rapporti che definiscono la struttura in una certa società storica.
Questa visione è denominata MATERIALISMO STORICO, dove con il termine «materialismo» si allude al convincimento secondo cui le vere forze motrice della storia non sono di natura spirituale, come pensavano per lo più i filosofi precedenti, bensì di natura socio-economica. Quello di Marx è anche un MATERIALISMO DIALETTICO perché le forze materiali che muovono la storia stanno tra loro in un rapporto dialettico, ma Marx cerca le opposizioni reali, socio-economiche, contrariamente a Hegel, che aveva cercato le opposizioni ideali. Ciò che muove la storia è dunque l’opposizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Marx infatti ritiene che a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive tendano a corrispondere determinati rapporti di produzione e di proprietà. Ora, poiché le forze produttive, in connessione con il progresso tecnico, si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, che esprimendo delle relazioni di proprietà tendono a rimanere statici, ne segue periodicamente una situazione di contraddizione dialettica tra i due elementi. Infatti, le nuove forze produttive sono sempre incarnate da una classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di proprietà sono sempre incarnati da una classe dominante al tramonto. Di conseguenza, risulta inevitabile lo scontro fra di esse e alla fine trionfa la classe che risulta espressione delle nuove forze produttive, che in tal modo riesce a imporre la propria maniera di produrre e di distribuire la ricchezza, nonché la sua specifica visione del mondo. Marx distingue quattro epoche della formazione economica della società: quella asiatica, quella antica di tipo schiavistico, quella feudale e quella borghese.
 

8. LA SINTESI DEL MANIFESTO
I punti salienti del Manifesto del partito comunista (1848) sono:
• l’analisi della funzione storica della borghesia;
• il concetto della storia come «lotta di classe» e il rapporto fra proletari e comunisti;
• la critica ai socialismi non-scientifici.
Nella prima parte del Manifesto Marx descrive la vicenda storica della borghesia sintetizzandone meriti e limiti. A differenza delle classi che hanno dominato nel passato, che tendevano alla conservazione dei modi di produzione, la borghesia tende a cambiare continuamente gli strumenti di produzione e l’insieme dei rapporti sociali poiché essa tende ad aumentare continuamente il profitto.
Tra i meriti della borghesia Marx riconosce la realizzazione dell’unificazione del genere umano poiché i borghesi hanno creato un mercato globale e hanno posto le bai di un’unità politica. Sennonché questa borghesia, che ha evocato forze gigantesche, assomiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze da lui evocate. Tali forze sono costituite dal proletariato che rappresenta la contraddizione interna della società capitalistica che ne segnerà la fine. Il concetto della storia come «lotta di classe» è uno dei più significatici del Manifesto. Infatti se in L’ideologia tedesca Marx pone come motore dello sviluppo sociale la dialettica fra forze produttive e rapporti di produzione, in quest’opera individua come soggetto autentico della storia la lotta fra le classi.
 

9. IL CAPITALE
In contrapposizione agli economisti classici, Marx ne Il Capitale si propone di «svelare la legge economica del movimento della società moderna». Marx parte da due presupposti:
1. egli è convinto  che non esistono leggi universali dell’economia ma esistono solo leggi particolari valide per ogni formazione socio-economica (ad esempio, le leggi economiche che valgono per il feudalesimo non valgono per il capitalismo);
2. Marx è convinto che la società borghese porti in sé le contraddizioni che porteranno alla sua fine.
Secondo Marx la caratteristica specifica del sistema capitalistico è la produzione generalizzata di merci. Di conseguenza, la prima parte del Capitale è dedicata all’analisi del fenomeno “merce”. Innanzitutto, una merce deve possedere un valore d’uso, in quanto deve essere utile a soddisfare un bisogno. In secondo luogo deve avere un valore di scambio che discende dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla.
Secondo Marx, la caratteristica peculiare del capitalismo è il fatto che in esso la produzione non risulta finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro.  Di conseguenza, mentre nei sistemi precedenti il ciclo economico era indicato con la formula MDM (merce – denaro – merce), formula che allude al doppio processo per cui una certa quantità di merce viene trasformata in denaro e una certa quantità di denaro viene ri-trasformata in merce, il ciclo economico peculiare del capitalismo è quello descrivibile con la formula DMDˈ (denaro – merce – più denaro). Infatti nella società borghese vie è un soggetto (il capitalista) che investe del denaro in una merce per ottenere, alla fine, più denaro. Da dove deriva questo “più” monetario, ovvero il plusvalore? Marx ritiene che l’origine del plusvalore non debba essere cercata a livello di scambio delle merci, bensì a livello della produzione capitalistica delle stesse. Infatti il capitalista produce una merce usando una «merce umana», cioè l’operaio. Il capitalista compera la sua forza-lavoro pagandolo col salario. Tuttavia l’operaio ha la capacità di produrre un valore maggiore di quello che gli è corrisposto con il salario. Ad esempio, l’operaio produce una merce che ha valore 10: a lui viene corrisposto un salario equivalente a 6 ed è costretto a “regalare” al capitalista l’eccedenza di 4. Questa è l’origine del plusvalore.
 

10. LA RIVOLUZIONE E LA DITTATURA DEL PROLETARIATO
Marx prevede che la progressiva meccanizzazione porterà all’aumento della produttività e quindi della produzione causando periodiche crisi di sovrapproduzione che porteranno alla disoccupazione, all’aumento della conflittualità sociale e quindi alla rivoluzione del proletariato, che attua il passaggio dal capitalismo al comunismo. Sui metodi per accedere al potere Marx ammette una gamma di possibilità, legate alle specificità storico-nazionali. Nel discorso di Amsterdam, che chiudeva il congresso dell’Internazionale, Marx non esclude che nei paesi più avanzati, come l’America, l’Inghilterra e l’Olanda, il comunismo possa essere realizzato con mezzi pacifici. Violenta o pacifica che sia, la rivoluzione del proletariato deve mirare, come primo obiettivo, all’abbattimento dello Stato borghese e delle sue forme istituzionali. Tra la società capitalistica e la società comunista vi è una fase di transizione detta dittatura del proletariato. Tale dittatura è il momento in cui il proletariato, organizzandosi a “classe dominante”, impone la propria egemonia sulla classe borghese, al fine di distruggere lo Stato borghese e di attuare il progetto comunista. Le misure concrete della dittatura del proletariato sono state elencate da Marx in relazione alla Comune di Parigi (1871) nell’opera La guerra civile in Francia
 

11. LE FASI DELLA FUTURA SOCIETÀ COMUNISTA
In una sezione dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx fornisce un quadro illustrativo del futuro assetto della società comunista. Egli distingue due fasi:
Comunismo rozzo, nel quale avviene la nazionalizzazione della proprietà privata mentre gli uomini sono tutti ridotti a operai con un medesimo salario
Comunismo autentico, appare come quella situazione in cui l’uomo cessa di intrattenere con il mondo rapporti di puro possesso e consumo. Così all’uomo della civiltà proprietaria, l’homo oesonomicus, ossessionato dall’avere, Marx contrappone l’uomo “nuovo” considerato come un essere che intrattiene un rapporto poliedrico con la realtà e con gli altri uomini.
Nella Critica del programma di Gotha, Marx, muovendosi su un terreno meno “filosofico” e più socio-politico, distingue due fasi della società comunista:
• Nella prima fase avviene la socializzazione dei mezzi di produzione e tutti gli uomini sono salariati, ma ognuno riceve una quantità di beni equivalente al lavoro prestato. Il principio di uguaglianza consiste nel misurare con egual misura il lavoro erogato.
• Nella seconda fase la società comunista deve essere fondata sul principio: ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni.
In sintesi la società comunista è una società senza divisione del lavoro, senza proprietà privata, senza classe, senza sfruttamento, senza miseria, senza divisioni fra gli uomini e senza Stato.

 

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