Daniel Defoe

LIFE (1660 - 1731)
Defoe’s father was a London butcher and dissenter, so Defoe was educated at the school of the sons of dissenters. After his education, he choose to go into commerce. In 1688 he took part in the rebellion against James II. After the failure of the uprising, he fled the country and travelled around the world. When he returned to England, he become a government spy.
After a short prison term due to a satirical work, Defoe devoted himself to journalism. In 1706 he set up his own newspaper, called The Review, and the he become professional novelist.


ACHIEVEMENT
Defoe is often called the father of English novel. His work differs from that of novelist like Swift or poets like Pope who wrote for cultured people. Defoe wrote for the middle class. In 1719 Defoe published Robinson Crusoe, then Moll Flanders, Roxana, Captain Singleton. In most of his works Defoe doesn’t appear as the narrator. In fact his novel are presented in form of autobiographies of the central character.

Robinson Crusoe

The inspiration for Robinson Crusoe was provided by the memories of a shipwrecked sailor, Alexander Selkirk. But when Defoe published his novel, people believed that the hero really existed. Robinson Crusoe reflects middle class culture of 18th century. In fact the first page of the novel shows Defoe’s interest of middle class life. Also Robinson symbolizes a new age that was increasing its knowledge of the world through exploration.
In the novel we can find also two different views of life: Robinson’s one, who is a young man dreaming adventures and wealth, and his father’s one, who tells Robinson that work and diligence are the only way to maintain his social status. So Defoe sets the wisdom of the age against the impetuosity of youth.
Robinson’s first voyage is success, but on his second voyage his ship is attacked by pirates and he in captured. Then he manages to escape. During his voyage the ship is wrecked near a small island off the coast of South Africa. Robinson dominates his island but one day he sees cannibals who bring their victims to the island to kill them. Robinson saves one of them and he names the native Friday. Before meeting Friday, Robinson has a prophetic dream, in which he sees a savage prisoner escape his abductors, run to him and become his “man”. His dream comes true: he saves Friday and finally gets his slave. The reason for this rescue his ambiguous. What seems to prevail, in fact, is not so much a humanitarian drive as a selfish one. But in the course of time, Friday becomes a good friend to Robinson and also a good Christian. After 28 years a ship arrives on the island and Robinson comes back home.

 

From Robinson Crusoe, A MIDDLE-CLASS ADVENTURER

Traduzione

Nacqui nell’anno 1632 nella città di York da una buona famiglia che tuttavia non era del luogo, poiché mio padre era uno straniero di Brema che si era stabilito in un primo tempo a Hull. Aveva accumulato un cospicuo patrimonio grazie al commercio, e abbandonati i propri affari, abitò successivamente a York, dove aveva sposato mia madre, i cui parenti si chiamavano Robinson, una buona famiglia in quella zona, e dalla quale ebbi il nome di Robinson Kreutznauer; ma dalla consueta storpiatura delle parole in inglese ora noi veniamo chiamati, anzi ci chiamiamo e firmiamo, Crusoe; e così i miei compagni mi hanno sempre chiamato. […]
Poiché ero il terzogenito della famiglia e non ero stato indirizzato ad alcun mestiere, la mia testa cominciò a riempirsi ben presto di pensieri da girovago. Mio padre, che era molto anziano, mi aveva dato una discreta dose di istruzione, per quanto un’istruzione familiare e una modesta scuola di campagna generalmente consentissero, e intendeva avviarmi alla carriera legale, ma io sarei stato soddisfatto solo a viaggiare per mare; e la mia inclinazione a ciò mi portava con tenacità contro la volontà, o piuttosto gli ordini di mio padre, e contro tutte le suppliche e le persuasioni di mia madre e di altri amici, poiché sembrava esserci qualcosa di fatale in quella propensione di natura che tendeva direttamente alla vita di infelicità che mi sarebbe capitata.
Mio padre, uomo saggio e austero, mi fornì seri ed eccellenti consigli contro quello che prevedeva fosse il mio proposito. Mi convocò una mattina in camera sua, dov’era confinato a causa della gotta, e mi espresse con molto calore la sua disapprovazione sull’argomento. Mi chiese quali ragioni, oltre a una semplice inclinazione a viaggiare per il mondo, avessi per lasciare la casa di mio padre e la mia regione natale, dove avrei potuto essere ben avviato e avevo la possibilità di accrescere il mio patrimonio con l’applicazione e l’operosità, conducendo una vita di benessere e di piaceri. Mi disse che era da uomini dalle sorti disperate da un lato, o di aspiranti a superiori fortune dall’altro, che andavano all’estero per iniziative avventate, portarsi in alto con sforzo, e diventare famosi con iniziative di natura fuori dal comune; che queste cose erano troppo alte per me, o troppo basse per me; che la mia era una condizione intermedia, o ciò che poteva essere definita la posizione più alta della bassa esistenza, che aveva considerato per lunga esperienza essere la migliore condizione al mondo, la più idonea alla felicità umana, non esposta alle afflizioni e agli stenti, alle fatiche e alle sofferenze di quella parte dell’umanità che svolge lavori manuali, e non imbarazzata dall’orgoglio, dal lusso, dall’ambizione e dall’invidia della classe superiore del genere umano. Mi disse che potevo giudicare la felicità di questo stato da una cosa, cioè che questo era lo stato di vita che tutte le altre persone invidiavano; che i re frequentemente lamentano le infelici conseguenze derivanti dall’essere nati per grandi gesta e desidererebbero trovarsi a metà fra i due punti estremi, fra il modesto e il grande; che l’uomo saggio dava testimonianza di questo come il giusto modello della vera felicità quando pregava di non avere né povertà né ricchezza. […]
Trascorse meno di un anno dopo questi fatti quando scappai, anche se nel frattempo avevo continuato a restare ostinatamene sordo a tutte le proposte di dedicarmi stabilmente a un’occupazione, e frequentemente protestavo con mio padre e mia madre perché erano così decisamente determinati contro ciò verso il quale sapevano che le mie inclinazioni mi spingevano. Ma un giorno ero a Hull, dove ero andato per caso, e senza alcuna intenzione di fuggire in quella occasione; ma dico, trovandomi là, e poiché uno dei miei compagni stava per imbarcarsi per Londra sulla nave di suo padre e mi stava spingendo ad andare con loro, sfruttando la consueta lusinga dei marinai, cioè che non mi sarebbe costato nulla il viaggio, non consultai più né mio padre né mia madre, e nemmeno scrissi loro; ma lasciando che venissero a saperlo come potevano, senza invocare la benedizione di Dio o quella di mio padre, e senza considerare le circostanze o le conseguenze, e in un’ora malaugurata, Dio sa, del 1 settembre 1651 io m’imbarcai su una nave che salpava per Londra; mai le disgrazie di un giovane avventuriero, credo, cominciarono più presto o continuarono più a lungo delle mie.

 

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