Cristianesimo e filosofia

 

La diffusione del cristianesimo nel mondo occidentale determina un nuovo indirizzo della filosofia. Il cristianesimo, come tutte le religioni, è fondato su una verità rivelata. Per questo la religione esclude la ricerca e consiste, anzi, nell’atteggiamento opposto dell’accettazione di una verità testimoniata dall’alto, indipendente da qualsiasi ricerca. Tuttavia, non appena l’uomo si chiede il significato della verità rivelata, rinasce l’esigenza della ricerca. Questa esigenza può essere soddisfatta solo dalla ricerca filosofica. Dalla religione cristiana nasce così la filosofia cristiana che ha il compito di portare l’uomo alla comprensione della verità rivelata da Cristo. La filosofia cristiana acquisisce gli strumenti per adempiere a questo compito dalla filosofia greca, in particolare dalle dottrine dell’età ellenistica, periodo ricco di religiosità. Il compito di comprendere la verità rivelata non è affidato all’individuo, lasciato solo con la sua ragione, ma egli viene guidato dalla Chiesa, che nelle sue assise solenni definisce le dottrine che esprimono il significato fondamentale della rivelazione. La Chiesa stabilisce quindi i limiti entro cui la ricerca deve svolgersi, limiti che se non vengono rispettati portano all’eresia. Il filosofo quindi si limita a comprendere, non cerca né sviluppa la verità rivelata e interpretata dalla Chiesa.
 

1. CARATTERI E NOVITÀ DEL MESSAGGIO CRISTIANO
Il cristianesimo è considerato il compimento dell’ebraismo. L’ultima tradizione ebraica, quella di profeti, annunciava, dopo un periodo di sventure e punizioni, il rinnovamento del popolo ebraico attraverso l’opera di un Messia che avrebbe dovuto riscattare gli ebrei sia dal punto di vista politico che morale. Il Messia atteso dagli ebrei è Cristo, certamente non è il “potente re” che aspettava il popolo eletto, ma è un umile messia che si rivolge a tutti gli uomini «di buona volontà», a tutti i popoli della terra e non solo al popolo ebreo. La predicazione di Cristo toglie quindi all’annunciato rinnovamento ogni carattere temporale e politico e ne fa un puro rinnovamento spirituale che deve realizzarsi nell’interiorità delle coscienze.
Nella predicazione di Gesù, Dio non è visto come una divinità vendicatrice (come credevano gli ebrei), ma come il Padre degli uomini e come fonte inesauribile di amore. La comunità umana è dunque una comunità basata sull’amore.
Le lettere di Paolo contengono la chiara espressione dei capisaldi concettuali della nuova religione. Tali capisaldi sono:
1. La conoscibilità naturale di Dio (Dio si conosce attraverso le sue opere).
2. La dottrina del peccato originale e del riscatto mediante la fede (il peccato originale ha corrotto l’uomo che per salvarsi ha bisogno della fede).
3. Il concetto della grazia come azione salvatrice di Dio attraverso la fede.
4. Il contrasto tra la vita secondo la carne, che conduce alla morte, e la vita secondo lo spirito, che porta alla salvezza.
5. L’identificazione del regno di Dio con la Chiesa.
Secondo Paolo, la Chiesa è il corpo di Cristo di cui i cristiani sono le membra diverse ma armonizzate e concordi. Nella comunità cristiana vi è posto per i compiti più diversi, ma ognuno deve scegliere quello per il quale è chiamato. Domina infatti nelle lettere paoline il concetto di vocazione attraverso la quale la grazia divina opera in ciascun individuo chiamandolo al dono o alla funzione carismatica che è più conforme alla sua natura.
 

2. IL IV VANGELO
Il vangelo di Giovanni è dominato, più di quelli sinottici, dalla figura di Gesù e presenta per la prima volta il tentativo d’intendere filosoficamente la figura del Maestro, che, nel prologo, viene definito Logos o Verbo divino. Al Logos è attribuita la funzione di mediatore tra Dio e il mondo, in quanto si dice che tutto è stato creato attraverso di lui.
 

3. CARATTERI DELLA PATRISTICA
La filosofia cristiana si divide in patristica e scolastica. Il termine patristica deriva dal latino pater, indica infatti il periodo dei Padri della Chiesa, che sono gli scrittori cristiani dell’antichità. Il periodo dei Padri della Chiesa si può considerare chiuso con la morte di Giovanni Damasceno (754 circa) per la Chiesa greca e con quella di Beda il Venerabile (735) per la Chiesa latina. In generale si può dire che la patristica inizia nel II secolo d.C. e si conclude nella prima metà dell’VIII secolo. Questo periodo può essere diviso in tre parti:
1. la prima parte va fino al 200 circa, è dedicata alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari pagani e gnostici;
2. la seconda parte va dal 200 al 450 circa, è dedicata alla formulazione dottrinale delle credenze cristiane;
3. la terza va dal 450 fino alla fine della patristica, è contrassegnata dalla rielaborazione e sistemazione delle dottrine già formulate.
Nei primi anni di diffusione del cristianesimo, i cristiani vennero perseguitati non solo “fisicamente” con violenze e uccisioni, ma anche dal punto di vista dottrinale. Nasce così l’esigenza di difendersi dagli attacchi esterni ma anche da possibili deviazioni interne (eresie). I Padri della Chiesa misero così in chiaro il cristianesimo organizzandolo in un sistema di dottrine. Questo sistema di dottrine si presentò come la verità ricercata e parzialmente raggiunta dai filosofi greci. La continuità con la filosofia greca è giustificata dall’unità del logos (ragione) che è identico in tutti gli uomini e in tutti i tempi ed è orientato alla conoscenza della verità. I filosofi greci però avevano conosciuto parzialmente tale verità, mentre, dopo la venuta di Cristo (che ha appunto rivelato la verità), i filosofi l’hanno conosciuta pienamente. Da questo punto di vista, era naturale che si tentasse da un lato di interpretare il cristianesimo mediante concetti desunti dalla filosofia greca e così di riportarlo a tale filosofia, dall’altro di ricondurre il significato di quest’ultima allo stesso cristianesimo.
 

4. LA SCOLASTICA E I RAPPORTI TRE FEDE E RAGIONE
Come sappiamo, dai primi anni del cristianesimo fino all’VIII secolo la filosofia cristiana prende il nome di patristica. Il periodo successivo è detto scolastica. Il nome scholasticus indicò nei primi secoli del Medioevo l’insegnante delle arti liberali, cioè di quelle discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica o dialettica, retorica) e il quadrivio (geometria, aritmetica, astronomia e musica). In seguito si chiamò scholasticus anche il docente di filosofia e di teologia, il cui titolo ufficiale era magister (magister artium o magister in theologia) e che teneva le sue lezioni dapprima nella scuola del chiostro o della cattedrale poi all’università. Le forme fondamentali dell’insegnamento erano due:
• la lectio, che consisteva nel commento di un testo;
• la disputatio, che consisteva nell’esame di un problema.
I prodotti letterari si dividevano in:
Commentari (Bibbia, le opere di Boezio, la logica di Aristotele)
Raccolte di questioni: raccolte di questo genere sono i Quodlibeta, che comprendono le questioni che gli aspiranti alla laurea in teologia dovevano discutere due volte l’anno su temi qualsiasi (de quolibet). Le quaestiones disputatae sono invece il risultato delle disputationes ordinariae che i professori di teologia tenevano durante i loro corsi sui più importanti problemi filosofici e teologici.
Il problema della scolastica era quello di portare l’uomo, in particolare i chierici, alla comprensione della verità rivelata. La scolastica non è, come la filosofia greca, una ricerca autonoma che affermi la propria indipendenza critica di fronte a ogni tradizione. La verità è stata rivelata all’uomo attraverso le Sacre Scritture, attraverso le definizioni dogmatiche che la comunità cristiana ha posto a fondamento della sua vita storica, attraverso i padri e i dottori ispirati o illuminati da Dio. Per l’uomo, si tratta soltanto di comprendere tale verità. In questo compito, che è quello proprio della ricerca filosofica, l’uomo non può e non deve essere affidato alle sole sue forze, anche in esso, lo aiuta e deve aiutarlo la tradizione religiosa fornendogli, attraverso gli organi della Chiesa, una guida illuminatrice e una garanzia contro l’errore. Si tratta quindi di un’opera comune più che individuale, di un’opera nella quale l’individuo singolo non può e non deve affidarsi soltanto alle sue forze, ma può e deve ricorrere all’aiuto degli altri e specialmente di quelli che la Chiesa stessa riconosce particolarmente ispirati e sorretti dalla grazia divina. Di qui deriva l’altro carattere fondamentale della ricerca scolastica. Essa non si propone di formulare ex novo dottrine e concetti. Il suo scopo è quello di intendere la verità già data nella rivelazione, non quello di trovare la verità. Perciò, come assume dalla tradizione religiosa la norma della ricerca, così assume dalla tradizione filosofica gli strumenti e il materiale della ricerca stessa: prima la dottrina platonico-agostiniana, poi quella aristotelica (dopo il XII secolo) le forniscono gli strumenti e il materiale della speculazione.
Su questi caratteri è fondata la qualificazione della filosofia scolastica come problema del rapporto tra ragione e fede e la sua periodizzazione fondata sul diverso modo di risolvere tale problema. Il problema è quanta parte deve avere la ragione sia nella vita pratica sia nella vita teoretica rispetto all’autorità, cioè quanto la ragione umana può comprendere la verità di fede. Come già detto, in base alla risoluzione di questo problema vi è la suddivisione in periodi della scolastica:
1. Pre-scolastica (fase della rinascenza carolingia, IX-X secolo): è ammessa l’identità di ragione e fede;
2. Alta scolastica (metà XI secolo - fine XII secolo): comincia ad affacciarsi il problema del rapporto tra ragione e fede;
3. Fioritura della scolastica (1200 – primi 1300): ragione e fede, pur essendo distinte tre di loro, vengono concepite come conducenti agli stessi risultati;
4. Dissolvimento della scolastica (XIV secolo): si riconosce l’insolubilità del problema che ne è a fondamento, in quanto si ritiene che ragione e fede siano domini eterogenei.
Intorno al 1000 la scolastica è dominata dalla problematica tra dialettici e antidialettici. I dialettici vogliono affidarsi alla ragione per intendere la verità rivelata; gli antidialettici invece affermano che basta appellarsi all’autorità dei santi e dei profeti, affidando alla ragione in compito apologetico (= difesa delle dottrine dalle eresie).
 

5. LA DISPUTA SUGLI UNIVERSALI
A partire dal XII secolo, uno dei più frequenti temi di discussione fra gli scolastici del Medioevo è il “problema degli universali”. In filosofia, per “universali” si intendono quei concetti generali che possono essere riferiti a più individui. Per problema degli universali si intende la questione relativa allo status ontologico di tali concetti, ci si interroga cioè sui loro ipotetici corrispettivi reali. In altre parole ci si chiede se agli universali corrisponde qualcosa nella realtà e in particolare si pongono due domande:
1. gli universali esistono solo nella mente o anche nella realtà?
2. e se esistono, sono separati dalle cose o dentro le cose?
Le soluzioni fondamentali sono quelle che in seguito saranno chiamate realismo e nominalismo: la prima afferma, mentre la seconda nega che gli universali esistano in qualche modo fuori dall’anima. Realismo e nominalismo si divisero a loro volta in due tendenze, una moderata e l’altra radicale:
• Il realismo estremo è la tesi secondo cui gli universali esistono al di fuori delle cose (ante rem) identificandoli con le idee platoniche.
• Il realismo moderato è la dottrina secondo cui gli universali esistono nelle cose (in re) affermando che essi sono l’essenza delle cose stesse.
• Il nominalismo estremo afferma che gli universali rappresentano soltanto dei nomi senza alcun corrispettivo ontologico.
• Il nominalismo moderato sostiene che l’universale non esiste nelle cose, ma soltanto nella mente essendo segni mentali sotto cui si raccolgono in una stessa classe una serie di individui aventi tra loro caratteristiche affini.
 

6. ARISTOTELE IN OCCIDENTE
A partire dal XII secolo le opere filosofiche e fisiche di Aristotele e quelle dei suoi commentatori arabi vengono tradotte in latino e cominciano a essere studiate e commentate nelle Università. La prima reazione verso l’aristotelismo è ostile. Gli interpreti arabi avevano infatti accentuato quei caratteri dell’aristotelismo che lo facevano apparire contrario a credenze fondamentali del cristianesimo. Nel XIII secolo la situazione muta. Infatti l’aristotelismo viene rivalutato da Alberto Magno (1193-1280) il quale afferma che l’aristotelismo è l’opera più perfetta cui la ragione umana può giungere.
 

7. LA CRISI E LA FINE DELLA SCOLASTICA
Alla fine del XIII secolo un’altra svolta della Scolastica è dovuta a Duns Scoto. Si tratta di una svolta decisiva, che doveva rapidamente condurre la scolastica alla fine del suo ciclo e all’esaurirsi della sua funzione storica. Anche in Scoto, proprio come in Tommaso, opera lo spirito dell’aristotelismo. Però, mentre Tommaso usava l’aristotelismo per spiegare la fede, Duns Scoto si serve dell’aristotelismo per separare i domini della scienza e della teologia: la scienza, che si affida alla ragione, arriva a verità universali; la teologia, che afferma verità di fede, è valida solo per i credenti. Così, per la prima volta, nel sistema di Scoto si profila la fine dell’armonia tra verità di fede e verità di ragione.
Negli anni successivi a Duns Scoto la separazione tra i domini della scienza e della fede diventa sempre più profonda sino ad arrivare a Guglielmo di Ockham, considerato l’ultima grande figura della scolastica e nello stesso tempo la prima figura dell’età moderna. Ockham è il primo ad affermare che comprendere la verità di fede con gli strumenti della ragione è impossibile. Con ciò la scolastica medievale chiude il suo ciclo storico; la ricerca filosofica diventa disponibile per la considerazione di altri problemi, primo fra tutti quello della natura, cioè del mondo al quale l’uomo appartiene e che può conoscere con le sole forze della ragione.
Ma perché è impossibile l’accordo tra ricerca filosofica e verità rivelata? Essendo quello di Ockham il punto di vista di un empirismo radicale, egli afferma che tutto ciò che oltrepassa i limiti dell’esperienza non può essere conosciuto né dimostrato dall’uomo. Le verità teologiche, che per l’appunto concernono ciò che è al di là dell’esperienza, cadono perciò al di fuori della ricerca filosofica.

 

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