Idealismo e Fichte

 

1. L’IDEALISMO
La parola “idealismo” presenta una varietà di significati. Nel linguaggio comune si denomina idealista colui che è attratto da determinati ideali o valori e che sacrifica per essi la propria vita. In filosofia l’idealista è il filosofo che contrappone alla realtà materiale una realtà ideale (come ad esempio Platone). Quest’accezione di idealismo non ha avuto molta fortuna. Infatti, in filosofia, la parola è usata prevalentemente per alludere:
- alle varie forme di idealismo gnoseologico
- all’idealismo romantico o assoluto
Per idealismo gnoseologico si intendono tutte quelle posizioni di pensiero che finiscono per ridurre l’oggetto della conoscenza a idea o rappresentazione.
Nel secondo senso l’idealismo costituisce il nome della corrente filosofica postkantiana che si originò in Germania nel periodo romantico. Dai suoi stessi fondatori (Fichte, Schelling e Hegel) l’idealismo fu definito «trascendentale», «soggettivo» e «assoluto»:
TRASCENDENTALE: tale aggettivo tende a collegarlo con il punto di vista kantiano, che aveva fatto dell’io penso il principio fondamentale della conoscenza
SOGGETTIVO: tale qualifica tende a contrapporre l’idealismo al materialismo di Spinoza, il quale aveva affermato che il principio di tutto è unico e si identifica con la Natura intesa come sostanza immutabile. L’idealismo accetta il monismo ma afferma che il principio non è l’oggetto (cioè la natura) bensì il soggetto (cioè l’uomo)
ASSOLUTO: l’aggettivo assoluto mira a sottolineare la tesi che l’io (o spirito) è il principio unico di tutto e che fuori di esso non c’è nulla.
 

2. I CRITICI IMMEDIANTI DI KANT E IL DIBATTITO SULLA “COSA IN SÉ”
L’idealismo risulta preparato dai cosiddetti seguaci immediati di Kant. Essi criticano Kant a proposito della cosa in sé constatando una contraddizione. Tale contraddizione consiste nel dire che la cosa in sé esiste ma non si può conoscere. È contradditorio perché per Kant una realtà esiste solo in quanto rappresentata dall’io penso; come può dunque affermare l’esistenza della cosa in sé essendo una realtà non rappresentata e non rappresentabile dalla coscienza?
Partendo da questa critica, Fichte, spostando il discorso dal piano gnoseologico al piano metafisico, abolisce la cosa in sé e qualunque altra realtà esterna all’io. Da ciò la tesi tipica dell’idealismo tedesco secondo cui «tutto è spirito». Mentre l’io di Kant era il legislatore del mondo ed era finito (perché esisteva un’altra realtà che lo limitava) l’Io di Fichte è creatore del mondo ed è infinito.
Questa puntualizzazione lascia irrisolti due quesiti di base:
1. in che senso lo spirito rappresenta il creatore di tutto?
2. che cos’è la natura in questa metafisica?
La risposta a questi due problemi interconnessi risiede innanzitutto nel concetto di dialettica, cioè in quella concezione secondo cui non essendoci mai nella realtà il positivo senza il negativo, la tesi senza l’antitesi, lo spirito, proprio per essere tale, ha “bisogno” di quella sua antitesi vivente che è la natura. Infatti, argomenta l’idealismo, un soggetto senza oggetto, un’attività senza ostacolo, sarebbero entità vuote e astratte. Di conseguenza, mentre le filosofie naturalistiche e materialistiche avevano sempre concepito la natura come causa dello spirito Fichte dichiara che è lo spirito ad essere causa e scopo della natura, poiché quest’ultima esiste solo per l’io e in funzione dell’io. In altre parole la natura esiste in quanto momento dialettico necessario della vita dello spirito.
Dire che l’uomo è la causa e lo scopo dell’universo equivale a dire che l’uomo si identifica con Dio. Fiche, respingendo il Dio trascendente e staticamente perfetto, afferma che l’unico Dio è lo spirito dialetticamente inteso. Per cui con l’idealismo ci troviamo di fronte a un panteismo spiritualistico (= Dio è lo spirito, cioè l’uomo) e a un monismo dialettico (= esiste un unico principio – l’uomo – che per realizzarsi ha bisogno di un’opposizione).
 

3. LA STRUTTURA DIALETTICA DELL’IO
Dire che la storia “filosofica” del mondo si articola nei tre momenti dell’autoposizione dell’Io (tesi), dell’opposizione del non-io (antitesi) e della determinazione reciproca fra Io e non-io (sintesi), significa dire che l’Io presenta una struttura triadica o “dialettica” articolata nei tre momenti di tesi-antitesi-sintesi e incentrata sul concetto di una “sintesi geli opposti”.
 

4. LA FILOSOFIA POLITICA
L’occupazione napoleonica della Prussia contribuisce a far sì che la filosofia politica di Fichte si evolva in senso nazionalistico, concretizzandosi (nell’inverno 1807-1808) nei Discorsi alla nazione tedesca.
Il tema fondamentale dei Discorsi è l’educazione. Fichte ritiene che il mondo moderno richieda una nuova azione pedagogica, capace di mettersi al servizio non di una élite, ma della maggioranza del popolo e della nazione. Tuttavia ben presto i Discorsi passano dal piano pedagogico a quello nazionalistico, in quanto Fichte argomenta che soltanto il popolo tedesco risulta adatto a promuovere la nuova educazione, in virtù di ciò che egli chiama «il carattere fondamentale» e che identifica nella lingua. Infatti i tedeschi sono gli unici ad aver mantenuto la loro lingua, che sin dall’inizio si è posta come espressione della vita concreta e della cultura del popolo, a differenza, ad esempio, della Francia e dell’Italia, nelle quali i mutamenti linguistici e la formazione dei dialetti neolatini hanno provocato una scissione fra il popolo, lingua e  cultura. Per questo, i tedeschi, il cui sangue non è commisto a quello di altre stirpi, sono l’incarnazione di un popolo «primitivo» rimasto integro e puro (Urvolk), e sono gli unici a potersi considerare il popolo per eccellenza.
I tedeschi quindi sono gli unici ad avere un fattore unificatore spirituale che li caratterizza come stirpe, nazione. La stessa storia culturale della Germania, con le grandi figure di Lutero, Leibniz, Kant, dimostra la sua superiorità spirituale che ne fa una nazione eletta a cui è affidato il compito di espandere la sua civiltà agli altri popoli. E tale missione di guida e di esempio risulta così importante, sostiene il filosofo nella Conclusione, che se ella fallisse l’umanità intera perirebbe: «Non vi sono vie di uscita: se voi cadete, l’umanità intera cade con voi, senza speranza di riscatto futuro». Si osservi che:
1. il “primato” che Fichte assegna al popolo germanico non sia di tipo politico-militare, ma piuttosto di tipo “spirituale” e culturale;
2. Fichte ritiene che il popolo tedesco debba avere come interesse ultimo l’umanità intera;
3. I fini di quest’ultima siano i valori etici della ragione e della libertà.
Tutto ciò scagiona i Discorsi da un’interpretazione di essi in senso pangermanista (orientamento politico e culturale che aspirava all’unificazione nazionale di tutti i popoli di lingua tedesca) o razzista.
Infatti i Discorsi in seguito hanno potuto costituire un testo-chiave non solo del patriottismo, ma anche dello sciovinismo (nazionalismo fanatico e aggressivo) tedesco, portando ben presto a trasformare la «supremazia spirituale» di Fichte in una supremazia di razza e di potenza, lungo un processo che ha trovato il suo epilogo oggettivo nel nazismo del Terzo Reich.

 

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