Hegel

 

1. VITA
Georg Wilhelm Friedrich Hegel nacque il 27 agosto 1770 a Stoccarda. Seguì i corsi di filosofia e teologia all’Università di Tubinga dove strinse amicizia con Schelling e Holderlin. Terminati gli studi, Hegel fece il precettore in case private e fu per qualche tempo a Berna. Dopo tre anni di soggiorno in Svizzera, Hegel tornò in Germania ed ebbe un posto di precettore privato a Francoforte sul Meno. Nel 1805 divenne professore a Jena e fu redattore capo di un giornale bavarese ispirato alla politica napoleonica. Nel 1808 divenne direttore del ginnasio di Norimberga e rimase in questo ufficio fino al 1816. In quest’anno fu nominato professore di filosofia a Heidelberg e nel 1818 fu chiamato all’Università di Berlino. Cominciò allora il periodo del suo massimo successo. Hegel morì a Berlino, forse di colera, il 4 novembre 1831.
 

2. SCRITTI
Gli scritti del periodo giovanile dimostrano un prevalente interesse religioso-politico. Questo interesse si trasforma nelle grandi opere della maturità in un interesse storico-politico.
 

3. LA TESI DI FONDO DEL SISTEMA
I capisaldi dell’idealismo di Hegel sono tre:  
1.  La risoluzione del finito nell’infinito
2.  L’identità tra ragione e realtà
3.  La funzione giustificatrice della filosofia

Con la prima tesi Hegel intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte. Tale organismo, non avendo nulla fuori di sé ed essendo la ragion d’essere di ogni realtà, è chiamato Assoluto o Infinito. In questa visione il finito non esiste di per sé ma esiste solo in virtù dell’infinito:

IL FINITO È L’ESPRESSIONE PARZIALE E TRANSITORIA DELL’INFINITO

L’hegelismo si presenta quindi come un monismo panteistico, cioè come una teoria che vede nel finito (= il mondo) la realizzazione dell’infinito (= Dio). Anche Spinoza aveva proposto un monismo panteistico, ma tra Spinoza ed Hegel vi è una sostanziale differenza:
•  Per Spinoza l’Assoluto è una sostanza immutabile che coincide con la natura (Deus sive natura)
•  Per Hegel l’Assoluto si identifica con lo spirito che non è immobile, ma è un processo di autoproduzione che produce sia la natura che l’uomo e che soltanto con l’uomo e le sue attività più alte (arte, religione e filosofia – vedi Filosofia dello Spirito) giunge a comprendersi.
Il soggetto spirituale che sta alla base della realtà viene chiamato da Hegel «idea» o «ragione», intendendo con questa espressione l’identità di pensiero ed essere, di ragione e realtà. La realtà è dunque un processo razionale e ogni momento di tale processo è necessario per il conseguimento di un fine. Da ciò il noto aforisma, contenuto nella Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, in cui si riassume il senso stesso dell’hegelismo: «Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale».
Ciò che è razionale è reale: Kant con la sua gnoseologia aveva detto che le categorie sono modalità soggettive per legare un predicato a un soggetto nel giudizio. Quindi, secondo Kant, la realtà fenomenica è soggettiva. Hegel invece afferma il contrario, dicendo che la razionalità non è astrazione, ma è l’essenza stessa di ciò che esiste, poiché la ragione “governa” il mondo e lo costituisce.
Ciò che è reale è razionale: Hegel intende affermare che la realtà non è materia caotica, ma è il dispiegarsi della ragione che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell’uomo. Quindi la realtà è ragione realizzata ed essendo i processi della ragione necessari, anche i momenti della realtà sono necessari: ogni momento è come deve essere con una coincidenza tra essere e dover essere. Allora il mondo, essendo razionalità dispiegata, è detto ragione reale o realtà razionale.
La filosofia (considerata la massima consapevolezza dello spirito) ha secondo Hegel il compito di mostrare la razionalità del reale. Per questo Hegel rimprovera i filosofi che vogliono determinare e guidare la realtà. Ma a dire come deve essere il mondo la filosofia arriva sempre troppo tardi, giacché sopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. Essa, afferma Hegel, è come la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà è già bell’e fatta.
 

4. IDEA, NATURA E SPIRITO. LE PARTIZIONI DELLA FILOSOFIA
Hegel ritiene che l’Assoluto abbia un ritmo dialettico o triadico, passando quindi attraverso tre momenti (tesi, antitesi, sintesi):
I MOMENTO. L’idea «in sé per sé» o idea «pura»: è la struttura logico-razionale della realtà, cioè è l’idea considerata in se stessa, prima che si concretizzi nel mondo
II MOMENTO. L’idea «fuori di sé» o idea «nel suo esser altro»: è la natura, ovvero l’alienazione dell’idea nelle forme materiali della natura
III MOMENTO. L’idea che «ritorna a sé»: è lo spirito, cioè l’idea che dopo essersi fatta natura torna «presso di sé», nell’uomo.
Ovviamente l’idea del terzo momento non è come l’idea del primo momento, in quanto l’idea, tornando a sé, diventa consapevole di essere l’artefice della natura, il principio della realtà.
A questi tre momenti dell’Assoluto Hegel fa corrispondere tre sezioni in cui si divide il sapere filosofico:
•  Logica, che è la scienza dell’idea «in sé per sé»
•  Filosofia della natura, che è la scienza  dell’idea «fuori di sé»
•  Filosofia dello spirito, che è la scienza dell’idea che «ritorna a sé»
 

5. LA DIALETTICA
Per Hegel l’Assoluto è “divenire”. La legge che regola tale divenire è la “dialettica”, che rappresenta sia la legge (logica) del pensiero sia la legge (ontologica) della realtà. Dire che il pensiero si sviluppi dialetticamente significa che il pensiero, per comprendere la realtà, si sviluppa in tre momenti:
1.  Astratto o intellettuale (tesi)
2.  Dialettico o negativo-razionale (antitesi)
3.  Speculativo o positivo-razionale (sintesi)
Nel primo momento l’intelletto astrae e dal particolare si eleva all’universale, considerando la realtà come una molteplicità di elementi chiusi in sé e separati dagli altri elementi. L’intelletto rappresenta la realtà sulla base di due principi della logica formale: il principio d’identità (ogni cosa è se stessa → a=a) e il principio di non contraddizione (ogni cosa è diversa dalle altre → a non è non a).
Nel secondo momento la ragione supera i limiti dell’intelletto mettendo “in movimento il concetto”, ossia mostrando come ogni concetto debba essere relazionato con gli altri concetti, anche col proprio opposto. Infatti, poiché ogni affermazione sottende una negazione, in quanto per specificare ciò che una cosa è bisogna implicitamente chiarire ciò che essa non è (già Spinoza aveva affermato: omnis determinatio est negatio), risulta indispensabile andare oltre il principio d’identità e mettere in rapporto le varie determinazioni con le determinazioni opposte. Nel terzo momento la ragione comprende che le determinazioni opposte sono aspetti di una stessa realtà che li ricomprende o sintetizza entrambi. La sintesi si configura così come una ri-affermazione potenziata dell’affermazione iniziale (tesi) ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia (antitesi). Infatti il terzo momento è chiamato da Hegel Aufhebung, il quale termine esprime l’idea di un “superamento” che è al tempo stesso un “togliere” (togliere l’opposizione fra tesi e antitesi) e un conservare (conservare la verità della tesi, dell’antitesi e della loro lotta).
 

6. FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO
Il principio della risoluzione del finito nell’infinito e dell’identità di razionale e reale è stato illustrato da Hegel in due forme diverse. Dapprima Hegel si è fermato a illustrare la via che la coscienza umana ha dovuto percorrere per raggiungere l’Assoluto, via che lo stesso Assoluto ha dovuto percorrere, attraverso la coscienza umana, per giungere a se stesso. In secondo luogo Hegel ha mostrato come l’Assoluto si presenti in tutte le determinazioni fondamentali della realtà. La prima illustrazione è quella che Hegel ha dato nella Fenomenologia dello Spirito, la seconda è quella che ha dato nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.

La fenomenologia è la storia romanzata della coscienza che attraverso errori, conflitti, scissioni, quindi infelicità, esce dalla sua individualità e raggiunge l’universalità. Il percorso compiuto dalla coscienza individuale per comprendersi parte della coscienza universale è lo stesso percorso compiuto dalla coscienza universale per comprendersi principio di tutto. La fenomenologia serve proprio per passare dalla coscienza comune (che non sa di essere tutta la realtà) alla coscienza filosofica (che sa di essere tutta la realtà). Questo passaggio non è immediato, infatti affinché il singolo si riconosca e si risolva nello spirito universale deve ripercorrere i gradi di formazione dello spirito universale. Questi gradi di formazione sono deposti nella storia e conseguiti in diversi ambiti della cultura umana, vengono messi in evidenza da Hegel affinché il singolo li ripercorra per capire di essere erede e parte della realtà. L’itinerario da percorrere è costituito da tre tappe fondamentali: coscienza, autocoscienza e ragione.

6.1. COSCIENZA. Inizialmente la coscienza umana non conosce nulla di sé. Il momento da cui inizia la consapevolezza di sé è rappresentato dall’incontro della coscienza con l’oggetto (il mondo). La coscienza conosce il mondo in tre momenti: certezza sensibile, percezione e intelletto. L’intelletto corrisponde alla gnoseologia di Kant (secondo la quale il fenomeno è il frutto della sintesi tra il materiale ricevuto e le modalità del soggetto). In quest’ultimo momento quindi la coscienza si conosce come legge della natura e diventa autocoscienza.

6.2. AUTOCOSCIENZA. Con l’autocoscienza il centro dell’attenzione si sposta dall’oggetto al soggetto, ovvero all’attività concreta dell’io, considerato nei suoi rapporti con gli altri. L’autocoscienza per riconoscersi ha bisogno di rapportarsi con le altre autocoscienze. Il riconoscimento reciproco tra le autocoscienze non avviene, come Hegel aveva inizialmente sostenuto, attraverso l’amore, bensì attraverso la lotta. Tale conflitto, nel quale ogni autocoscienza, pur di affermare la propria indipendenza, deve essere pronta a tutto, anche a rischiare la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze contendenti, ma col subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto servo-signore (I MOMENTO). Il signore è colui che, pur di affermare la propria indipendenza, ha messo a repentaglio la propria vita, sino alla vittoria, mentre il servo è colui che ha preferito perdere la propria indipendenza pur di avere salva la vita. Ma col tempo il rapporto servo-signore è destinato a invertirsi: il signore diviene servo del servo e il servo signore del signore. Infatti il signore, che inizialmente appariva indipendente, godendo passivamente del lavoro altrui, finisce per rendersi dipendente dal servo. Quest’ultimo invece, che inizialmente appariva dipendente, col lavoro finisce per rendersi indipendente. La figura hegeliana del servo-signore è stata apprezzata soprattutto dai marxisti, i quali hanno visto in essa un’intuizione dell’importanza del lavoro come mezzo per raggiungere la coscienza sociale. Invece gli esistenzialisti (filosofi del Novecento che hanno sottolineato gli aspetti negativi dell’esistenza umana) hanno apprezzato l’idea della coscienza che raggiunge la consapevolezza di sé con l’accettazione della morte. Infine Sartre ha apprezzato il rapporto conflittuale tra le coscienze.
II MOMENTO. La consapevolezza del servo di essere indipendente dal mondo trova la sua manifestazione filosofica nello stoicismo, ossia un tipo di visione del mondo che celebra l’indipendenza del saggio nei confronti del mondo. Ma nello stoicismo l’autocoscienza, che pretende di svincolarsi dai condizionamenti della realtà, non nega la realtà esterna ed comunque  è condizionata da essa. Lo scetticismo invece trasforma il distacco dal mondo in negazione del mondo: gli scettici negano la validità di tutto ciò che è creduto vero. Ma in questo atteggiamento negativo verso l’alterità lo scetticismo entra in contraddizione perché pur negando il mondo, agisce in esso. La coscienza scettica è quindi scissa:
•  Sul piano teorico esso nega l’esistenza reale del mondo
•  Sul piano pratico essa agisce come se il mondo esistesse
III MOMENTO. La scissione presente nello scetticismo diviene esplicita nella figura della coscienza infelice o religiosa e assume la forma di un separazione radicale tra l’uomo e Dio. La coscienza infelice è scissa in due aspetti: l’aspetto immutabile e l’aspetto mutevole.
•  La coscienza identifica l’aspetto immutabile della cultura umana con quei caratteri dell’umanità che rimangono costanti nel tempo, caratteri che si identificano con un Dio trascendente.
•  La coscienza identifica l’aspetto mutevole con i caratteri dell’umanità che sono mutevoli, passeggeri e che si identificano con l’uomo.
Storicamente questa scissione della coscienza si è realizzata con l’Ebraismo e il Cristianesimo medievale, quando la coscienza affidava i caratteri positivi a un Dio lontano e quelli negativi e transitori all’uomo. Ogni rapportarsi della coscienza con Dio genera nell’uomo infelicità. Questa scissione viene superata con il Rinascimento e l’Età moderna, quando la coscienza si riappropria dei caratteri positivi attribuiti dalle religioni a Dio e comprende che Dio è una sua invenzione. I caratteri positivi (attribuiti a Dio) non sono altro che i caratteri della coscienza umana che costituisce l’intera realtà.

6.3. RAGIONE. L’autocoscienza è diventata ragione perché ha capito di essere tutta la realtà. Ora la ragione deve verificare questa certezza e lo fa attraverso tre momenti: ragione osservativa, ragione attiva, individualità in sé per sé.
1. La ragione osserva la natura. È la fase del Naturalismo del Rinascimento e dell’empirismo: la ragione osserva la natura cercando in essa la sua legge. Essa cerca le leggi della natura prima nel mondo fisico, poi in quello organico per passare infine al mondo psicologico. Ai tempi di Hegel due pseudo-scienze, la fisiognomica e la frenologia, tentando di portare a unità spirito e materia, credevano di poter conoscere il carattere di una persona dai tratti del volto o dalla forma delle ossa del cranio ed erano giunte alla conclusione che “l’essere dello spirito è un osso”. Il naturalismo era quindi giunto ad un materialismo che ammetteva l’esistenza di un’unica realtà a favore della materia. Di fronte a questa posizione la ragione afferma di nuovo la sua indipendenza dal mondo. Dalla ragione osservativa si passa alla ragione attiva.
2. La ragione che agisce sul mondo. Nella crisi la ragione si rende conto che l’unità di io e mondo non è qualcosa di dato e da osservare, ma è qualcosa che deve essere realizzato. Tuttavia anche questo progetto è destinato a fallire poiché realizzare l’unità del mondo significa tentare di piegare alla propria razionalità il mondo. La ragione attiva si articola in tre momenti: piacere e necessità, la legge del cuore e il delirio della presunzione, la virtù e il corso del mondo.
•  Piacere e necessità. L’individuo, deluso dalla ricerca naturalistica, va alla ricerca del piacere ma incontra la necessità del destino che lo travolge.
•  La legge del cuore e il delirio della presunzione. L’individuo cerca di opporsi al corso negativo del mondo appellandosi alla «legge del cuore» (probabilmente Hegel allude al filone sentimentali stico che va da Rousseau ai romantici). Ma l’individuo entra in conflitto con altri presunti portatori del vero progetto di miglioramento della realtà, che si affidano alla legge del proprio cuore.
•  La virtù e il corso del mondo. Ai vari fanatismi l’individuo contrappone la virtù, ossia un agire in grado di procedere oltre l’immediatezza del sentimento e delle inclinazioni soggettive. La virtù è un agire che fa appello a un bene astrattamente vagheggiato dall’individuo ma considerato bene universale. Ma un bene pensato da un individuo non può essere considerato un bene universale e il «cavaliere della virtù» (es. Robespierre) che pretende di conformare la realtà al bene da lui pensato, viene sconfitto dalla realtà.
3. Individualità in sé per sé. L’individualità, pur potendo raggiungere la propria realizzazione, rimane stratta e inadeguata. Tre sono i momenti dell’individualità in sé per sé: regno animale dello spirito, la ragione legislatrice, la ragione esaminatrice delle leggi.
•  Regno animale dello spirito. Dopo l’impegno pubblico la vita spirituale viene assorbita dagli impegni personali, ma l’individuo tende a spacciare la propria opera come virtù, come bene universale; mentre essa esprime solo il proprio interesse (Lukacs ha visto in questa figura la traduzione filosofica della mentalità borghese)
•  Ragione legislatrice (figura corrispondente alla morale kantiana). In questa fase ognuno cerca in sé la legge con valore universale. Hegel critica questo tipo di morale per il suo astrattismo e per la sua non-universalità in quanto avendo essa un’origine individuale non può avere un valore universale.
•  Ragione esaminatrice delle leggi (periodo illuministico). Allora la ragione si fa esaminatrice delle leggi esistenti per giudicarne l’universalità. Tuttavia le leggi vengono sempre giudicate dal punto di vista individuale, scambiato per universale.
Con queste figure Hegel intende farci capire che se ci si pone dal punto di vista dell’individuo si è condannati a non raggiungere mai l’universalità. L’autocoscienza ha fallito perché non ha capito che «l’intelligente ed essenziale far del bene è l’intelligente universale operare dello Stato». Questo vuol dire che l’agire morale è dello Stato e dell’individuo nella misura in cui si assoggetta allo Stato (cioè nella misura in cui obbedisce alle leggi) e che la legge etica universale non deve essere cercata nella ragione ma nella ragione che si è concretizzata nelle istituzioni storico-politiche di un popolo.
Hegel ribadisce questa interpretazione dello Stato nella seconda parte della Fenomenologia: lo spirito si realizza nello spirito del popolo che trova forma concreta nello Stato.
 

7. FILOSOFIA DELLO SPIRITO
La filosofia dello spirito è lo studio dell’idea che, dopo essersi estraniata da sé, ritorna a sé e si conosce. Questa presa di coscienza avviene attraverso tra momenti: spirito soggettivo, spirito oggettivo e spirito assoluto.
•  Spirito soggettivo. Lo spirito soggettivo è quello individuale che emerge dalla naturalità in modo progressivo. Esso si manifesta prima nelle forme di vita psichica elementari (ancora legate alla naturalità come il carattere o il temperamento). Si eleva poi alle più elevate attività: attività conoscitiva, attività pratica, libero volere. Il libero volere è il volere individuale che riconosce il suo fondamento non in principi individuali ma in principi universali.
•  Spirito oggettivo. Il libero volere si concretizza nelle istituzioni dello spirito oggettivo: diritto, moralità, eticità. Il primo momento del realizzarsi del libero volere è la proprietà privata per cui nasce l’esigenza del diritto privato (che regola i rapporti di proprietà) e penale (che riguarda la violazione di proprietà). La moralità regola la volontà libera che agisce, ma il dominio della moralità è caratterizzato da una separazione tra la soggettività, che deve realizzare il bene, e il bene che deve essere realizzato, prescritto dalla moralità. Da ciò la contraddizione tra essere e dover essere. Tale contraddizione vien superata nell’eticità, in cui il bene si è attuato concretamente ed è divenuto esistente. Il bene si realizza nelle forme istituzionali della famiglia, della società civile e dello Stato. Il primo momento dell’eticità è la famiglia, nella quale il rapporto naturale dei sessi assume la forma di «unità spirituale» fondata sull’amore e sulla fiducia. La società civile è il secondo momento dialettico dell’eticità e si identifica con quello spazio intermedio fra l’individuo e lo Stato che coincide con la sfera economico-sociale e giuridico-amministrativa del vivere insieme, ovvero con il luogo di incontro e scontro di interessi «particolari» e «indipendenti» che si trovano a coesistere tra loro. Lo Stato rappresenta il momento culminante dell’eticità, ossia la riaffermazione dell’unità della famiglia al di là dei particolarismi della società civile con lo scopo di compiere il bene comune. Questa concezione etica dello Stato si differenzia dalla teoria liberale dello Stato, teoria che, secondo Hegel, sminuisce il compito dello Stato, visto come semplice tutore dei particolarismi della società civile. Hegel critica anche i presupposti della teoria liberale: il contrattualismo e il giusnaturalismo. Secondo il contrattualismo la vita associata dipende da un contrato tra gli individui; Hegel rifiuta tale teoria dicendo che lo Stato non si fonda sulla volontà degli individui ma sull’idea di Stato, cioè sull’idea di bene comune. Hegel contesta anche il giusnaturalismo, ossia l’idea di diritti naturali esistenti prima e oltre lo Stato, affermando che i diritti si hanno solo se c’è uno Stato ad affidarli.
Lo stato di Hegel si differenzia anche dal modello democratico di Rousseau, ovvero dalla concezione secondo cui la sovranità risiede nel popolo. Hegel sostiene che il popolo al di fuori dello Stato è soltanto una moltitudine informe e che la sovranità è dello Stato ed è fondata sullo Stato. Lo Stato di Hegel, pur essendo assolutamente sovrano, non è uno stato dispotico, cioè illegale, in quanto Hegel ritiene che lo Stato debba operare soltanto sulla base della legge. Di conseguenza lo Stato hegeliano si configura come uno Stato di diritto fondato sul rispetto delle leggi. Il pensiero politico hegeliano mette a capo un’esplicita divinizzazione dello Stato: «l’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato». Secondo tale statolatria l’Assoluto (= Dio) è pienamente realizzato nello Stato e per questo lo Stato non può trovare, nelle leggi morali, un limite o un impedimento alla sua azione. Soffermandosi sul diritto esterno dello Stato (= rapporto con gli altri Stati), Hegel dichiara che non esiste un’autorità superiore capace di risolvere pacificamente i conflitti tra gli stati. Il solo arbitro è la storia, che ha come suo momento strutturale la guerra.

La storia si svolge secondo un piano razionale che la religione chiama Provvidenza. La filosofia della storia ha il compito di conoscere questo piano stabilendone il fine e i mezzi. Il fine della storia è che lo spirito giunga a conoscersi e faccia di questa conoscenza un mondo reale. Questo spirito si incarna nei popoli che si succedono alla guida della storia e in particolare si incarna nei veggenti: uomini straordinari ai quali Hegel riconosce il diritto di opporsi al corso del mondo perché essi prevedono il momento successivo nello sviluppo della ragione universale. Apparentemente tali individui non fanno altro che seguire le proprie ambizioni, ma in realtà, dice Hegel, si tratta di un’astuzia della ragione che si serve degli individui come mezzi per attuare i suoi fini. La storia del mondo passa attraverso tappe dialettiche che segnano il progressivo incremento di razionalità e libertà:
1. mondo orientale, in cui è libero uno solo (il sovrano)
2. mondo greco-romano, in cui sono liberi alcuni
3. mondo germanico, in cui sono liberi tutti gli uomini

•  Spirito assoluto. È lo spirito che conosce se stesso nelle forme dell’arte, della religione e della filosofia. Queste attività non si distinguono per il contenuto, che è identico, ma soltanto per la forma nella quale ciascuna di esse presenta lo stesso contenuto:
L’arte esprime l’Assoluto attraverso le forme sensibili
La religione nella forma della rappresentazione della fede
La filosofia nella forma concettuale
Secondo Hegel l’arte intuisce l’assoluto come fusione di natura e spirito. Ciò accade nel bello artistico, ad esempio in una statua greca, dove spirito e natura vengono recepiti come un tutt’uno, in quanto nella statua l’oggetto (il marmo) è natura spiritualizzata (=natura modellata dall’idea) e il soggetto (l’idea artistica) è spirito naturalizzato (=spirito incarnato nella natura). Hegel dialettizza la storia dell’arte in tre momenti in base all’equilibrio fra messaggio spirituale (idea) e forma sensibile (natura):
•  Arte simbolica, caratterizzata da uno squilibrio tra contenuto spirituale e forma sensibile con una prevalenza della forma
•  Arte classica, caratterizzata da un armonico equilibrio tra contenuto spirituale e forma sensibile
•  Arte romantica, caratterizzata da un nuovo squilibrio in quanto lo spirito acquista coscienza che qualsiasi forma sensibile è ormai insufficiente ad esprimere in modo compiuto l’interiorità spirituale, che infatti preferisce rivolgersi alla filosofia.
La religione è la seconda forma dello spirito assoluto, quelle in cui l’assoluto si manifesta nella forma della rappresentazione di fede, che è un modo di pensare Dio che procede per giustapposizione: si ha così un elenco degli attributi divini, singolarmente presi, che non derivano da un processo dialettico per cui si giunge a riconoscere l’inconcepibilità dell’essenza divina che le unifica. In altri termini la religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi di fronte al mistero dell’Assoluto.
Nella filosofia, che è l’ultimo momento dello spirito assoluto, l’idea giunge alla piena e concettuale conoscenza di sé. Essa è l’intera storia della filosofia giunta finalmente a compimento con l’hegelismo. Quindi la storia della filosofia è vista come un insieme di tappe necessarie per giungere alla corretta conoscenza dello spirito.

 

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