Galileo

 

1. VITA E OPERE
Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564, da genitori della media borghesia, che si trasferirono a Firenze nel 1574, dove Galileo compì i primi studi di letteratura e di logica. Nel 1581, per volere del padre, si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pisa. Ma per questo tipo di studi non mostrò alcun interesse e tornò a Firenze senza aver conseguito titoli accademici. Qui approfondì la matematica e cominciò a compiere osservazioni fisiche. La sua cultura matematica gli procurò stima e simpatia e nel 1589 ottenne la cattedra di matematica all’Università di Pisa. Nel 1592 passò ad insegnare matematica nell’università di Padova dove trascorse 18 anni.
Con la costruzione del cannocchiale (1609) si aprì la serie delle grandi scoperte astronomiche di cui diede l’annuncio nel Sidereus nuncius (Ragguaglio astronomico) del 1610. Ma le scoperte astronomiche e le sue idee copernicane lo misero in urto con gli aristotelici e con le gerarchie ecclesiastiche. Infatti Galileo, nel febbraio del 1616, venne ammonito dal cardinale Bellarmino di professare nuova astronomia. Nonostante ciò, Galileo continuò i suoi studi e nel 1623 pubblicò il Saggiatore, dedicato a problemi relativi alle comete, e nello stesso tempo a importanti considerazioni di tipo metodologico. Continuò poi a lavorare al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano, incoraggiato anche dall’ascesa al pontificato di Urbano VIII, che gli aveva sempre mostrato benevolenza. Il Dialogo venne stampato nel febbraio 1632, ma già nel settembre Galilei veniva citato dal papa a comparire dinanzi al tribunale del Santo Uffizio di Roma. il processo si concluse con l’abiura di Galilei. Il carcere a vita gli venne tramutato in confino, prima nel palazzo dell’arcivescovo di Siena, suo amico, poi presso la sua villa ad Arcetri. Qui scrisse Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicato in Olanda. Morì nel 1642.
 

2. L’AUTONOMIA DELLA SCIENZA E IL RIFIUTO DEL PRINCIPIO DI AUTORITÀ
Il primo risultato storicamente decisivo dell’opera di Galileo è la difesa dell’autonomia della scienza. A differenza di altri dotti del tempo, che avevano scelto di non sfidare le autorità, soprattutto ecclesiastiche, e che tenevano celate le proprie scoperte, Galileo intuisce che la battaglia per la libertà della scienza era una necessità storica di primaria importanza. Da ciò la sua lotta, che riguardò sostanzialmente due fronti: l’autorità religiosa (personificata dalla Chiesa) e l’autorità culturale (personificata dagli aristotelici).
La controriforma aveva stabilito che ogni forma di sapere dovesse essere in armonia con le Sacre Scritture. Applicato alla nuova scienza, tale decreto poteva generare il problema se il credente dovesse accettare solo il messaggio religioso e morale della Bibbia oppure ogni affermazione in essa contenuta. Per esempio, il cardinale Bellarmino, consultore del Sant’Uffizio, sosteneva la seconda soluzione, convinto che negare certi dati di fatto delle Scritture invalidasse la verità della Bibbia, che essendo scritta sotto ispirazione dello Spirito Santo, non poteva che essere vera in tutte le sue parti. Galileo invece pensa che una posizione del genere avrebbe ostacolato il libero sviluppo del sapere e danneggiato la religione stessa, che rimanendo ancorata a tesi dichiarate false dal progresso scientifico, avrebbe finito per squalificarsi dinanzi agli occhi dei credenti. Di conseguenza, Galileo affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede e afferma che la natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della religione) derivano entrambe da Dio. Come tali, esse non possono contraddirsi fra di loro. Eventuali contrasti fra verità scientifica e verità religiosa sono quindi soltanto apparenti e vanno risolti rivedendo l’interpretazione della Bibbia. Infatti la Bibbia non è un trattato scientifico, quindi non bisogna appellarsi ad essa per conoscere la natura e le sue leggi, ma bisogna appellarsi ad essa per avere indicazioni morali.
Indipendente dall’autorità religiosa della Bibbia, la scienza deve esserlo altrettanto nei confronti di quella culturale di Aristotele e dei sapienti del passato. Galileo mostra grande stima per Aristotele e per gli altri scienziati antichi, però disprezza i loro infedeli discepoli, soprattutto gli aristotelici, che anziché osservare direttamente la natura e conformare ad essa le loro opinioni, si limitano a consultare i testi, vivendo in un «mondo di carta». Ma, sostiene Galileo, se il filosofo greco tornasse al mondo, egli riconoscerebbe lui – e non loro – come suo discepolo e si mostrerebbe disposto a cambiare le proprie idee, in armonia con le nuove scoperte. Invece gli aristotelici continuano a offrire il triste spettacolo di un dogmatismo antiscientifico in quanto sono convinti che il metodo è come l’aveva descritto Aristotele e non come vuole la natura.
 

3. IL METODO DELLA SCIENZA
Un altro risultato storicamente decisivo dell’opera di Galileo è l’individuazione del metodo della fisica. Tuttavia, in Galileo, non vi è una teoria organica del metodo poiché egli, preso dalle sue ricerche concrete in fisica e astronomia, applica il metodo, più che teorizzarlo filosoficamente. Ciò nonostante, nelle sue opere si trovano disseminate alcune osservazioni metodologiche. Galileo divide il metodo in due momenti:
1. il momento risolutivo o analitico: consiste nell’osservazione di un fenomeno, nella misurazione matematica dei dati e nella formulazione di un’ipotesi matematica;
2. il momento compositivo o sintetico: consiste nel riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo che se l’ipotesi supera la prova, risultando veri-ficata (= fatta vera), essa viene accettata e formulata in termini di legge, mentre, se non supera la prova, risultando falsificata (= non verificata), viene sostituita da un’altra ipotesi.

 

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