Cultura umanistico-rinascimentale

 

1. LE COORDINATE STORICHE E CULTURALI
Molti sono gli eventi che hanno segnato il Quattrocento e il Cinquecento: le scoperte geografiche, la Riforma protestante, l’invenzione della stampa. Sul piano politico di particolare importanza è:
- la formazione di monarchie nazionali in Europa,
- la formazione degli stati regionali in Italia.
In Europa spiccano la Francia e la Spagna, che diventano due grandi potenze e che iniziano una guerra che insanguinerà l’Europa sino alla pace di Cateau-Cambresis (1559). In Italia i vari stati sono continuamente in lotta tra loro fino alla pace di Lodi del 1454, con la quale si conosce un periodo di relativa stabilità. L’Italia è, però, politicamente debole, per questo è preda delle mire espansionistiche della monarchia francese e di quella spagnola.
Sul piano sociale ed economico, tale periodo è caratterizzato dall’ascesa della borghesia: a partire dall’anno 1000, la borghesia inizia ad arricchirsi grazie alle sue attività e ad acquisire prestigio sociale tanto da competere con l’aristocrazia militare e guerriera. All’aumento del prestigio sociale e delle ricchezze corrisponde l’aumento del potere politico in quanto la borghesia vuole partecipare al governo dello stato. L’ascesa della borghesia porta alla nascita della civiltà urbano-borghese che è la culla della cultura umanistico-rinascimentale. Tale civiltà non nasce ovunque, ma nasce nelle città economicamente floride delle Fiandre e dell’Italia centro-settentrionale.
 

2. I NUOVI LUOGHI DI CULTURA E L’INTELLETTUALE LAICO
In un primo momento gli umanisti appartengono alla borghesia cittadina. In un secondo momento, poi, gli umanisti diventano intellettuali di professione al servizio di un signore. È noto come i principi e i ricchi mercanti di questo periodo vogliano farsi mecenati del sapere concedendo protezione e stipendi a letterati, filosofi, artisti e scienziati. Ciò avviene non solo per amore della cultura, ma anche per motivi di prestigio, ossi per avere intellettuali capaci di dar lustro e fama al casato, oppure per ragioni pratiche, per disporre uomini in grado di scrivere i documenti ufficiali.
Sorgono in questo periodo le Accademie, libere associazioni di intellettuali che si dedicano a rami diversi della cultura. Tali intellettuali sono laici e si rifanno prevalentemente a Platone. Per questo le Accademie si contrappongono alle Università, i tradizionali centri di cultura gestiti dal clero e legati alla filosofia scolastica, e quindi aristotelica.
Le Accademie principali sono:
Accademia fiorentina, di tendenza platonica e diretta da Marsilio Ficino;
Accademia romana, fondata da Pomponio Leto e di carattere archeologico-erudito;
Accademia napoletana di Giovanni Pontano di tendenza letteraria.
Nel Cinquecento nascono altre Accademie, in particolare nascono:
Accademie letterarie, come quella degli Infiammati a Padova e quella fiorentina;
Accademie filosofiche, come quella di Telesio a Cosenza.
 

3. LA CONCEZIONE DELL’UOMO
Il nucleo dell’antropologia rinascimentale risiede nell’affermazione secondo cui homo faber ipsius fortunae (l’uomo è fabbro della propria sorte) mediante la quale gli scrittori del Rinascimento intendono dire che la prerogativa dell’uomo risiede nel forgiare se medesimo e il proprio destino nel mondo. Nell’orazione De hominis dignitate (Sulla dignità dell’uomo), che può essere considerata una sorte di manifesto dell’antropologia rinascimentale, Pico della Mirandola presenta l’uomo come «libero e sovrano artefice di se stesso». La frattura col Medioevo è evidente: mentre nel Medioevo l’uomo è assoggettato all’ordine prestabilito da Dio, al quale deve solo adattarsi e riconoscersi, il Rinascimento ritiene che l’uomo debba costruire e conquistarsi il proprio posto nell’essere.
 

4. L’UOMO E DIO
Mentre nelle filosofie moderne la concezione dell’uomo come soggetto del proprio destino mondano assumerà spesso un significato antireligioso, nel Rinascimento essa coesiste con una concezione religiosa. Infatti si pensa che la facoltà dell’uomo di essere l’artefice del proprio destino sia stata data da Dio. Ciò non esclude che lo spirito della rinascita sia prevalentemente “antropologico” e che si differenzi da quello prevalentemente “teocentrico” del Medioevo, intendendo con queste formule il fatto che mentre nel Medioevo Dio appare al centro e l’uomo alla periferia, adesso l’uomo tende ad apparire al centro e Dio alla periferia, senza che nel primo caso, ossia nel Medioevo, si neghi l’uomo e l’aldiquà, e senza che nel secondo caso, ossia nel Rinascimento, si neghi Dio e l’aldilà.
 

5. L’UOMO E LA LIBERTÀ
La celebrazione umanistica della libertà umana non esclude una complementare consapevolezza dei suoi limiti. Infatti i rinascimentali, pur concependo l’uomo come il forgiatore di se stesso tramite virtù, appaiono tutti consapevoli del fatto che gli individui sono condizionati da una serie di forze reali, casuali e soprannaturali, che, pur non annullando la libertà, la circoscrivono. Tant’è vero che accanto all’“esaltazione” rinascimentale della libertà e delle virtù abbiamo le correlative dispute sui suoi rapporti con la Fortuna, il Caso, la Provvidenza ecc. Tuttavia, finché il rapporto fra ciò che è in potere dell’uomo e ciò che non lo è verrà risolto a favore dell’uomo, si sarà ancora nel Rinascimento, mentre quando l’uomo comincerà ad apparire più dominato che dominante rispetto all’insieme delle forze che premono su di lui, comincerà la crisi e il declino del Rinascimento.
 

6. IL PLATONISMO RINASCIMENTALE
La cultura umanistico-rinascimentale riscoprì Platone per tre principali motivi:
1. si vide in Platone il più artista tra i filosofi antichi;
2. si vide Platone come l’antagonista di Aristotele e quindi della scolastica; come il pensatore che grazie al suo filosofare aperto appariva più adatto a esprimere l’inquietudine dell’uomo;
3. si considerò Platone come il filosofo più vicino allo spirito religioso.
Ci furono circostanze storiche che favorirono la riscoperta di Platone. Infatti il concilio di Ferrara e di Firenze, per l’unione della Chiesa greca e di quella latina, e la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi (1453) facilitarono l’afflusso in Italia di una moltitudine di dotti orientali, esperti in lingua e cultura greca, i quali insegnarono il greco agli intellettuali italiani che poterono così leggere i testi originali dei filosofi antichi.
 

7. L’ARISTOTELISMO RINASCIMENTALE
Lo sviluppo delle Accademie non determinò la fine delle Università, che continuarono la loro opera di ricerca e di insegnamento. Proprio nelle Università si affermò il fenomeno dell’aristotelismo del Rinascimento. Mentre la storiografia tradizionale, per lungo tempo, ha visto in tale movimento una sorta di residuo medievale, oggi gli si riconoscono caratteri originali e innovativi. Mentre il centro del platonismo è Firenze, il centro geografico dell’aristotelismo è Padova. L’aristotelismo del Rinascimento si spaccò in due tronconi: gli averroisti e gli alessandrinisti. Gli averroisti sostenevano l’esistenza di un unico intelletto separato e, in quanto tale, immortale, mentre concepivano l’individuo concreto come mortale; gli alessandrinisti non solo consideravano l’individuo mortale, ma negavano anche l’esistenza di un intelletto separato e immortale, affermando che niente esiste o sopravvive al corpo, essendo l’anima una funzione dell’organismo, indissolubilmente legato ad esso. Oltre le differenze, tra le due correnti vi sono alcune affinità. Infatti entrambe presentano la medesima mentalità naturalistica-razionalistica che porta a vedere nella natura il campo proprio della filosofia e nella ragione il metodo della ricerca. Ne consegue la radicale separazione tra il campo della fede e quello della ragione. Un’altra affinità tra averroisti e alessandrinisti è la dottrina della “doppia verità”, secondo la quale una tesi può essere simultaneamente vera in filosofia e falsa in teologia, per cui uno stesso individuo, pur ritenendo vere talune dottrine come filosofo, sarebbe tenuto, nello stesso tempo, a giudicarle errate come credente. Grazie alla teoria della “doppia verità” molti studiosi poterono difendersi dagli inquisitori ecclesiastici e professare con una certa libertà nuove dottrine, facilitando il processo di laicizzazione della cultura.
 

8. L’INTERESSE PER LA NATURA
Nel Rinascimento l’indagine sulla natura diviene lo strumento della ricerca. Il presupposto di tale indagine è che l’uomo è parte della natura e come tale può conoscerla, la ricerca però non ha uno scopo teoretico, ma pratico: l’affermazione del dominio dell’uomo sulla natura. Nell’indagine naturale si possono distinguere due aspetti, che sono la magia e la filosofia naturale. Secondo la magia, la natura è dominata da forze simili a quelle che dominano la vicenda umana. Tali forze possono essere dominate dall’uomo con gli incantesimi. La filosofia naturale, che si afferma per la prima volta con Telesio, afferma che la natura è un mondo a sé stante retto da principi propri. Il compito della filosofia è scoprire tali principi attraverso l’esperienza. La filosofia naturale, rompendo con la magia e con l’aristotelismo, vuole spiegare la natura con al natura, aprendo così la via dell’indagine scientifica.

 

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