La proposizione infinitiva


In italiano le proposizioni soggettive/oggettive sono subordinate che svolgono nel periodo la funzione di soggetto o di complemento oggetto del verbo della reggente. Si definiscono soggettive se fungono da soggetto del verbo, che pertanto è impersonale; si definiscono oggettive se fungono da complemento oggetto. Esse sono generalmente tradotte con una proposizione esplicita introdotta dalla congiunzione “che”.

In latino le infinitive presentano sempre il verbo all’infinito e il soggetto in accusativo, perciò il loro costrutto viene anche setto “accusativo con l’infinito”.

 

Il soggetto dell’infinitiva latina si trova in caso accusativo e deve sempre essere espresso, anche quando in italiano può essere sottinteso. In quest’ultima eventualità, in latino si trova il pronome riflessivo se (terza persona singolare o plurale) quando il soggetto dell’infinitiva è lo stesso della reggente; il determinativo is o il dimostrativo ille in caso accusativo quando il soggetto dell’infinitiva non coincide con quello della reggente.
Ogni elemento (attributo, apposizione o complemento predicativo) riferito al soggetto dell’infinitiva è posto in accusativo.

Il predicato nelle proposizioni infinitive si presenta al modo infinito i cui tempi sono sempre usati con valore relativo al tempo del verbo della reggente. Precisamente si trova:
• l’infinito presente, quando l’azione dell’infinitiva risulta contemporanea a quella espressa dalla reggente, indipendentemente dal tempo verbale della reggente;
• l’infinito perfetto, quando l’azione è anteriore rispetto a quella della reggente, indipendentemente dal tempo verbale della reggente stessa;
• l’infinito futuro, quando l’azione è posteriore a quella della reggente, indipendentemente dal tempo verbale della reggente stessa.

 

TRADURRE IN ITALIANO LE INFINITIVE
Le infinitive latine si rendono in italiano per lo più in forma esplicita introdotte dalla congiunzione “che”. Il verbo è tradotto all’indicativo, se il verbo della reggente esprime certezza, oppure al congiuntivo, se il verbo della reggente esprime un’opinione, un’incertezza. Il tempo dell’indicativo o del congiuntivo da usare in italiano varia in base alla relazione temporale che intercorre tra la reggente e la subordinata (contemporaneità, anteriorità, posteriorità) e anche in base al tempo usato nella reggente (presente/futuro o passato):

CONTEMPORANEITÀ
Nel presente: Dico (Credo) te venire = Dico che tu vieni/Credo che tu venga
Nel passato: Dicebam (Dixi, Credebam) te venire = Dicevo (Dissi) che tu venivi/Credevo che tu venissi
Nel futuro: Dicam te venire = Dirò che tu verrai

ANTERIORITÀ
Nel presente: Dico (Credo) te venisse = Dico che sei venuto/Credo che tu sia venuto
Nel passato: Dicebam (Dixi, Credebam) te venisse = Dicevo (Dissi) che tu eri venuto/Credevo che tu fossi venuto
Nel futuro: Dicam te venisse = Dirò che tu sei venuto

POSTERIORITÀ
Nel presente: Dico te venturum esse = Dico che tu verrai
Nel passato: Dicebam te venturum esse = Dicevo che saresti venuto
Nel futuro: Dicam te venturum esse = Dirò che tu verrai

 

OSSERVA
• Quando a rendere l’idea di posteriorità nell’infinitiva si trova un verbo privo del supino e quindi dell’infinito futuro, come disco, paenitet, studeo, timeo ecc., il latino ricorre alle perifrasi futurum esse (o fore) ut/ut non e il congiuntivo, presente o imperfetto, secondo le norme della consecutio temporum. Tale perifrasi è a volte usata anche con verbi che presentano il supino, quando si vuole sottolineare l’idea di accadimento.

• L’espressione fore ut e il congiuntivo o l’infinito presente passivo retto da posse vengono di norma usati in luogo dell’infinito futuro passivo, che è di uso raro negli autori classici.

• Con verbi ed espressioni indicanti possibilità, necessità e volontà che hanno già in se l’idea di futuro, come possum, debeo, volo e le coniugazioni perifrastiche attiva e passiva, si trova nell’infinitiva, di regola, l’infinito presente anche per esprimere un rapporto di posteriorità rispetto al tempi della reggente.

• Con i verbi che significano “spero”, “prometto”, “faccio voto”, “prometto con un voto”, “giuro”, “minaccio” e le espressioni equivalenti, il latino ricorre regolarmente all’infinito futuro per esprimere il rapporto di posteriorità, contrariamente all’italiano, che suole trascurare di esplicitarne tale rapporto.

 

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