Cartesio

 

1. VITA E OPERE
La personalità di Cartesio segna la svolta decisiva dal Rinascimento all’Età moderna. Egli è il fondatore del razionalismo, ossia di quella corrente della filosofia moderna che vede nella ragione il fondamentale organo di verità e lo strumento per elaborare una nuova visione complessiva del mondo. L’altra corrente della filosofia moderna è l’empirismo, iniziato da John Locke.
René Descartes (latinizzato in Renatus Cartesius e italianizzato in Renato Cartesio) nacque nel 1596 a La Haye nella Touraine. Fu educato nel collegio dei gesuiti a La Fleche dove entrò nel 1604 e rimase fino al 1612. Cartesio visse in un periodo di svolta e per questo non riusciva ad orientarsi, a capire dove fosse la verità. Questo è il problema fondamentale che riguarda tutto lo scibile: trovare un metodo certo col quale distinguere il vero dal falso. La prima intuizione del suo metodo Cartesio l’ebbe intorno al 1619; la prima opera nella quale essa trovò l’espressione furono le Regole per dirigere l’ingegno composte tra il 1619 e il 1630. In seguito nel 1637 pubblicò Discorso sul metodo, che non è un’opera a sé ma è la prefazione a tre trattati scientifici (Diottica, Meteore e Geometria). Nel 1641 fu pubblicata l’opera Meditazioni sulla filosofia prima, che raccoglie gli studi metafisici di Cartesio. Nel 1649 Cartesio fece pubblicare Le passioni dell’anima, una monografia psicologica contenente indicazioni etiche. Nell’ottobre dello stesso anno Cartesio raggiunse Stoccolma per recarsi alla corte della regina Cristina di Svezia, ma nel rigido inverno nordico si ammalò di polmonite e morì l’11 febbraio 1650.
Cartesio è considerato il padre della filosofia moderna in quanto egli:
- sottopone a critica tutto il sapere;
- costruisce il sapere su nuove basi: mentre per la filosofia greca la fonte del sapere era l’essere e per la filosofia medievale era Dio, con Cartesio la fonte del sapere è l’uomo inteso come ragione.
 

2. IL METODO
Il metodo che Cartesio cerca è nello stesso tempo teoretico e pratico: deve condurre a saper distinguere il vero dal falso e deve costruire una conoscenza che dia all’uomo la capacità di governare la natura. Quindi: il metodo deve essere un criterio unico e semplice di orientamento che serva all’uomo in ogni campo teoretico e pratico e che abbia come ultimo fine il vantaggio dell’uomo nel mondo. Secondo Cartesio, le scienze matematiche sono già pervenute in possesso del metodo certo. Però non basta astrarre tale metodo dalle matematiche e formularlo in generale per poterli applicare a tutte le conoscenze. Ma bisogna:
annunciare le regole del metodo (I COMPITO)
giustificare il metodo, ovvero dimostrare il valore universale del metodo (II COMPITO)
applicare il metodo (III COMPITO)
Per quanto riguarda il primo compito, esistono quattro regole del metodo:
REGOLA DELL’EVIDENZA: regola fondamentale secondo la quale è vera l’idea evidente;
REGOLA DELL’ANALISI: poiché la mentre non riesce a cogliere come evidente una regola complessa, allora bisogna scomporla in idee semplici;
REGOLA DELLA SINTESI: si ricompone l’idea complessa avendo compreso le idee semplici e i loro legami;
REGOLA DELL’ENUMERAZIONE E REVISIONE: enumerare tutti gli elementi dell’analisi e rivedere tutti i passaggi della sintesi.

Secondo Cartesio il metodo si giustifica trovando una verità certa non matematica da cui partire con la catena di ragionamenti. Per trovare tale verità bisogna criticare tutto il sapere utilizzando come strumento il dubbio, detto metodico. Ora Cartesio ritiene che nessun grado o forma di conoscenza si sottrae al dubbio. Si deve dubitare delle conoscenze sensibili, ritenute non certe per due motivi:
1. I sensi a volte ci ingannano e potrebbero quindi ingannarci sempre;
2. Le conoscenze sensibili che abbiamo nel sogno sono le stesse che abbiamo nella veglia: non abbiamo criteri ceri per distinguere il sogno dalla veglia.
Le conoscenze matematiche si possono considerare vere perché sono le stesse sia nel sogno sia nella veglia. Ma neppure queste conoscenze si sottraggono al dubbio perché anche la loro certezza può essere illusoria. Infatti, finché non si sa nulla di certo intorno a noi e alla nostra origine, si può ipotizzare che all’origine del mondo c’è un genio del male che rende vero ciò che è falso, che quindi inganna l’uomo. In tal modo, il dubbio si estende ad ogni cosa e diventa assolutamente universale: si giunge così al cosiddetto dubbio iperbolico.
Ma proprio in questo dubbio c’è la prima certezza: io posso ammettere di ingannarmi e di essere ingannato in tutti i modi possibili, ma per ingannarmi o per essere ingannato io debbo esistere. La proposizione “Io esisto” è dunque la sola assolutamente vera perché il dubbio stesso la riconferma: per dubitare, cioè per pensare, devo esistere: COGITO ERGO SUM. Questa proposizione contiene anche un’indicazione su ciò che sono io che esisto. Io sono pensiero, ragione, intelligenza: io sono un soggetto pensante. La mia esistenza di soggetto pensante è certa, mentre non lo è l’esistenza degli oggetti pensati. Vale a dire che, di tutto ciò che penso, è certa l’esistenza del mio pensiero, ma non è certa l’esistenza delle cose che penso. Su questa verità necessaria del mio esistere si fonda ogni altra conoscenza.
 

3. LE DISCUSSIONI INTORNO AL COGITO
Cartesio fu accusato dai suoi contemporanei di “circolo vizioso”, poiché affermando che se il principio del cogito viene accettato perché evidente, la regola dell’evidenza risulta anteriore allo stesso cogito, come fondamento della sua evidenza, per cui la pretesa di giustificarla in virtù del cogito diventa illusoria. Cartesio risponde affermando che non è vero che esso risulta evidente perché conforme alla regola dell’evidenza, in quanto il cogito è la stessa auto evidenza esistenziale che il soggetto ha di se medesimo.
All’accusa secondo cui il cogito sarebbe una forma di sillogismo abbreviato del tipo “Tutto ciò che pensa esiste, Io penso, dunque esisto” e quindi sarebbe infondato in quanto il principio “Tutto ciò che pensa esiste” cade preliminarmente sotto il dubbio del genio maligno, Cartesio risponde che il cogito non è un ragionamento, ma un’intuizione immediata della mente.
Più insidiosa è l’osservazione di Hobbes, per cui Cartesio ha ragione nel dire che l’io, in quanto pensa, esiste, ma ha torto nel pretendere di pronunciarsi su come esso esista. In ciò Cartesio sarebbe simile a chi dicesse: «Io sto passeggiando, quindi sono una passeggiata». Cartesio replica affermando che:
1. l’uomo non passeggia costantemente però pensa costantemente, per cui il pensiero risulta essenziale;
2. il pensiero indica talora l’atto del pensiero, talvolta la facoltà del pensiero, talvolta la cosa o la sostanza con cui si identifica tale facoltà. Per cui, in quest’ultimo caso, si può legittimamente parlare di una sostanza pensante, la cui essenza è appunto costituita dal pensiero.
 

4. DIO COME GIUSTIFICAZIONE METAFISICA DELLE CERTEZZE UMANE
Il principio del cogito mi rende sicuro della mia esistenza, ma lascia aperta la questione delle altre esistenze ed evidenze. Io sono un essere pensante che ha idee e sono scuro che tali idee esistono nella mia mente perché esse, come atti di pensiero, sono parte di me come soggetto pensante. Non sono invece sicuro se a queste idee corrispondono realtà effettive fuori di me. Quindi: qual è il valore ontologico delle idee? Per rispondere a questa domanda, Cartesio divide le idee in tre categorie:
1. idee innate (presenti in noi sin dalla nascita): a tele categoria appartiene la capacità di pensare e di avere idee;
2. idee avventizie (provengono da cose esterne, colte dai sensi): a tale classe appartengono le idee delle cose naturali;
3. idee fittizie (formate o trovate da me stesso): comprendono le idee delle cose inventate o chimeriche.
Per scoprire se a queste idee corrisponde una realtà bisogna chiedersi la possibile causa di esse. La causa delle idee innate e di quelle fittizie è il pensiero. Per quel che riguarda le idee che rappresentano altri uomini o cose naturali, esse non contengono nulla di così perfetto che non possa essere stato prodotto da me.
Per quel che riguarda l’idea di Dio, cioè di una sostanza infinita, eterna, onnisciente, onnipotente e creatrice, è difficile supporre che possa averla creata io. Difatti io sono privo delle perfezioni che quell’idea rappresenta, e la causa deve sempre avere almeno tanta perfezione quanta è quella che l’idea stesso rappresenta.
I PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO. La causa dell’idea di una sostanza infinita non posso essere io che sono una sostanza infinita: solo un essere infinito e perfetto (= Dio) è causa adeguata dell’idea di Dio.
II PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO. Io sono finito e imperfetto come è dimostrato dal fatto che dubito. Se fossi stato la causa di me stesso, mi sarei dato le perfezioni che concepisco e che sono contenute nell’idea di Dio. È evidente dunque che non mi sono creato da me e che non può avermi creato che Dio, il quale mi ha creato finito pur dandomi l’idea di infinito.
III PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO. Non è possibile concepire Dio come Essere sovranamente perfetto senza ammettere la sua esistenza, perché l’esistenza è una delle sue perfezioni necessarie.
La dimostrazione dell’esistenza di Dio, che è un essere infinito e perfetto, buono e verace, smentisce la teoria secondo la quale siamo stati originati da un genio del male. Quindi tutte le conoscenze, acquisite col metodo della ragione, diventano certe, infatti Dio, che non può ingannarmi, garantisce:
• la positività della natura umana,
• la veridicità della facoltà conoscitiva umana: la ragione è capace di conoscere la verità attenendosi al criterio dell’evidenza.
La giustificazione definitiva del criterio dell’evidenza è dunque l’esistenza di Dio.
Ma allora come si spiega l’errore? Cartesio afferma che nel giudizio concorrono due facoltà: intelletto, che segue il criterio dell’evidenza e quindi non erra, e la volontà. È proprio questa che può indurre a dare giudizi su ciò che non è evidente abbastanza, portando così all’errore. Dunque l’errore dipende unicamente dal libero arbitrio che Dio ha dato all’uomo e si può evitare soltanto attendendosi alle regole del metodo e in primo luogo a quella dell’’evidenza.

L’evidenza, avendo ottenuto ogni garanzia in quanto è risultata fondata sulla stessa veridicità di Dio, consente di eliminare il dubbio che è stato avanzato in principio sulla realtà delle cose corporee. Io ho l’idea di cose corporee che esistono fuori di me e che agiscono sui miei sensi. Quest’idea, essendo evidente, non può essere ingannevole: devono dunque esistere cose corporee corrispondenti alle idee che noi abbiamo.
Ma le proprietà che attribuiamo alle cose corporee sono vere? Il criterio da seguire è sempre quello dell’evidenza. Secondo Cartesio l’unica proprietà che soddisfa l’evidenza è l’estensione. Quindi sono reali le determinazioni quantitative e quindi misurabili: esse sono dette proprietà oggettive e sono: la grandezza, la figura, il movimento, la situazione, la durata, il numero. Non sono reali le determinazioni non quantitative, dette proprietà soggettive, che non appartengono al corpo ma sono piuttosto reazioni del nostro corpo agli stimoli che vengono dall’esterno. Esse sono: il colore, il sapore, l’odore, il suono ecc. Tale distinzione delle proprietà era già stata fatta da Galileo e risale a Democrito. In tal modo Cartesio ci ha proposto un dualismo, cioè ha diviso la realtà in due zone distinte:
• la sostanza pensante (res cogitans) che è inestesa, consapevole e libera;
• la sostanza estesa (res extensa) che è spaziale, inconsapevole e meccanicamente determinata dall’altro.
Queste due sostanze sono separate ma nell’uomo convivono e interagiscono. Cartesio cerca anche la causa dell’interazione tra le due sostanze e la trova nella ghiandola pineale o epifisi, dove avviene appunto lo scambio tra le due sostanze.


5. MERITI E LIMITI DEL DUALISMO CARTESIANO
Il dualismo cartesiano ha meriti storici:
• ha permesso l’eliminazione delle concezioni antropomorfiche, finalistiche, magiche e astrologiche della natura, permettendo di avere una concezione meccanicistica della natura e quindi una concezione deterministica;
• salvaguarda la libertà dell’uomo, inteso come spirito, sottraendolo dalle leggi di natura.
Il limite della fisica di Cartesio consiste invece nel credere che la deduzione matematica, fondata sull’evidenza, sia garanzia di verità. Allora, se il metodo deduttivo è garanzia di verità, nel mondo fisico saranno vere le proprietà trattabili col metodo matematico, ovvero le proprietà misurabili.

 

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