Anselmo d’Aosta

 

Il maggiore rappresentante dell’Alta Scolastica è Anselmo d’Aosta. Nato ad Aosta nel 1033, egli fu abate del monastero di Bec, poi nel 1093 sino al 1109, anno della morte, arcivescovo di Canterbury. Le sue opere principali sono: il Monologion o Soliloquio; il Proslogion o Discorso rivolto ad altri; e un gruppo di quattro dialoghi su argomenti vari. Anselmo crede nella perfetta concordanza tra ragione e fede e il suo motto è Credo ut intelligam (credo per capire). Con ciò Anselmo intende dire che per cogliere la verità c’è bisogno della fede che ci illumina e che deve poggiare su argomenti razionali. In particolare la fede poggia sulla dimostrazione dell’esistenza di Dio, che è secondo Anselmo una verità di ragione: la ragione può dimostrare l’esistenza di Dio con le sole sue forza. Per dimostrare l’esistenza di Dio, Anselmo elabora due argomenti:
1. argomento a posteriori: argomento che si costruisce dall’osservazione delle cose, è quindi basato sull’esperienza;
2. argomento a priori: argomento che parte sa un concetto che si trova nella mente.
 

ARGOMENTO DEI GRADI O A POSTERIORI
Nel Monologion Anselmo dimostra l’esistenza di Dio con l’argomento dei gradi. Vi sono nel mondo cose che presentano gradi diversi di bontà, ci sono cioè cose più o meno buone, non assolutamente buone. Ciò presuppone un bene assoluto che è la loro misura e la loro causa. Questo bene assoluto è Dio.
 

ARGOMENTO ONTOLOGICO O A PRIOPRI
Nel Proslogion Anselmo ricorre ad un’argomentazione che muove dal semplice concetto di Dio per giungere a dimostrarne l’esistenza. Il concetto di Dio è posseduto da tutti, anche da chi nega l’esistenza di Dio, in quanto essi, per negare questo concetto, devono necessariamente possederlo. Ora il concetto di Dio è il concetto di un essere «di cui non si può pensare nulla di maggiore». Ma ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può esistere nel solo intelletto. È infatti impossibile che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista nel solo intelletto e non anche nella realtà. Per questo Dio, essendo l’essere di cui non si può pensare nulla di maggiore, deve esistere sia nel pensiero che nella realtà. L’argomento si fonda su due punti:
1. ciò che esiste in realtà è «maggiore», cioè più perfetto, di ciò che esiste nel solo intelletto;
2. negare che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esiste nella realtà significa contraddirsi perché significa ammettere nello stesso tempo che può essere pensato maggiore, cioè esistente in realtà.

 

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