Epicureismo

 

Epicuro nacque nel 341 a.C. a Samo e qui passò la giovinezza. Cominciò ad occuparsi di filosofia all’età di 14 anni. A Samo seguì le lezioni del platonico Panfilo e poi del democriteo Nausifane. Da quest’ultimo fu iniziato alla dottrina di Democrito, del quale, per qualche tempo, si ritenne discepolo. A 18 anni Epicuro si trasferì ad Atene e, a 32 anni, cominciò l’attività di maestro. Fondò una scuola chiamata il Giardino, poiché aveva sede nel giardino dell’abitazione di Epicuro. In essa Epicuro aveva una grandissima autorità sui suoi discepoli: come le altre scuole, l’epicureismo formava un’associazione religiosa, ma la divinità alla quale questa associazione era dedicata fu il fondatore stesso della scuola. Epicuro fu autore di numerosi scritti, circa 300. A noi restano soltanto tre lettere conservate da Diogene Laerzio, il quale conservò anche le Massime capitali e il Testamento. In un manoscritto vaticano è stata trovata una raccolta di Sentenze e nei papiri ercolanesi frammenti dell’opera Sulla natura.
Nessuno dei discepoli ha apportato un contributo originale alla dottrina del maestro. Epicuro esigeva infatti dai suoi seguaci la stretta osservanza dei suoi insegnamenti e a questa osservanza la scuola epicurea si mantenne fedele per tutta la sua durata. Tra i discepoli di Epicuro ricordiamo Tito Lucrezio Caro che, nel suo De rerum natura, ha esposto fedelmente la dottrina di Epicuro. Lucrezio vede in Epicuro colui che ha liberato gli uomini dal timore del soprannaturale e della morte. Questo compito appare a Lucrezio così grande che egli non esita a esaltare Epicuro come una divinità e a riconoscerlo come il fondatore della vera sapienza.
 

ETICA
Epicuro vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità, che coincide con il piacere. L’etica epicurea non è però semplice edonismo, cioè un abbandono smodato a ogni tipo di piacere. Epicuro individua infatti due tipi di piacere: il piacere stabile, che consiste nella privazione del dolore, e il piacere in movimento, che consiste nella gioia e nella letizia. La felicità consiste soltanto nel piacere stabile o negativo ed è quindi definita come atarassia (= assenza di turbamento nell’anima) e aponia (= assenza del dolore nel corpo). Vi è poi una classificazione dei bisogni, il cui soddisfacimento dà luogo ad altrettanti piaceri:
BISOGNI NATURALI E NECESSARI: sono quelli legati alle improrogabili richieste della carne, ovvero quelli che se non vengono soddisfatti portano alla morte (ad esempio: la fame, la sete ecc.)
BISOGNI NATURALI E NON NECESSARI: sono quelli che costituiscono una variante superflua dei bisogni naturali (ad esempio: mangiare troppo, bere troppo). A questa categoria appartengono anche i desideri erotici, necessari per la specie, ma non per l’individuo
BISOGNI NON NATURALI E NON NECESSARI: sono i bisogni “vani”, cioè quelli legati a desideri artificiali come la gloria, la potenza, gli onori ecc.
Solo i desideri naturali e necessari vanno appagati, gli altri vanno abbandonati e rimossi. Le virtù, e specialmente la saggezza che è la prima e fondamentale di esse, appaiono ad Epicuro come la condizione necessaria della felicità. Alla saggezza è dovuto il calcolo dei piaceri, la scelta e la limitazione dei bisogni e quindi il raggiungimento della atarassia e dell’aponia.
Il piacere stabile può essere realizzato attraverso il quadrifarmaco, ossia i quattro farmaci o rimedi offerti dalla filosofia nei confronti dei quattro temi rispetto ai quali più intensamente si palesa la sofferenza umana. I quattro farmaci si possono così sintetizzare:
1°. Liberare gli uomini dal timore degli dei, dimostrando che per la loro natura beata non si occupano delle faccende umane;
2°. Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando che essa non è nulla per l’uomo: «quando ci siamo noi la morte non c’è, quando c’è la morte non ci siamo noi»;
3°. Dimostrare l’accessibilità del limite del piacere, cioè la facile raggiungibilità del piacere stesso;
4°. Dimostrare la lontananza del limite del male, cioè la brevità e la provvisorietà del dolore.

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Una caratteristica della dottrina e della condotta pratica degli epicurei fu il culto dell’amicizia. L’amicizia costituisce infatti per Epicuro un valore prezioso e indispensabile per il conseguimento della felicità. Nella sua scuola, il Giardino, Epicuro realizza una comunità nella quale tra tutti i membri vigono rapporti di grande amicizia e solidarietà. L’amicizia è nata dall’utile, ma essa è un bene per sé. L’amico non è chi cerca sempre l’utilità né chi non lo congiunge mai all’amicizia: giacché il primo considera l’amicizia come un traffico di vantaggi, il secondo distrugge la fiduciosa speranza di aiuto che è tanta parte dell’amicizia.
Per quanto riguarda la vita politica, Epicuro riconosceva i vantaggi che essa procura agli uomini, tenendoli obbligati a leggi che impediscono loro di nuocersi a vicenda. Ma consigliava al saggio di rimanere estraneo alla vita politica vista come fonte di turbamento e quindi ostacolo al raggiungimento dell’atarassia. Il precetto di Epicuro è: «vivi nascosto».

 

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